ANCONA – Denatalità e (conseguente) invecchiamento della popolazione: una situazione che rischia quasi il collasso. «È una sfida complessa da affrontate con serietà, tenendo conto dei numeri e delle previsioni che abbiamo». Se il covid era una sfida «grave, globale e imprevista», beh, l’invecchiamento della popolazione è «altrettanto grave e globale – perché coinvolge tutto il mondo – ma non è imprevista».
Della situazione che si presenta oggi nelle Marche (e in Italia) ne eravamo a conoscenza già 20 anni fa. Di questo (e molto altro) abbiamo parlato con il professor Francesco Maria Chelli, ordinario di Statistica economica all’Università politecnica delle Marche.
Professore, partiamo da qualche dato…
«La struttura demografica delle Marche è spostata verso età ancora più avanzate rispetto alla media italiana. Gli ultra 90enni, secondo dati Istat del gennaio 2022, sono 25.681 (di cui il 70% è donna). In regione, gli ultra centenari – che non sono pochi – sono 602 (l’85% è donna). Abbiamo 17.3 ultra 90enni per mille abitanti, che è un valore superiore di 3.4 punti rispetto a quello nazionale (13.9). Visti così, sembrano solo numeri, ma sono dati di una certa importanza».
Come sarà la situazione fra 30 anni?
«Nel 2050, le stime (per le Marche) parlano di un decremento di popolazione di 164mila abitanti, che sono una bella fetta. Passeremo da 1 milione 487mila di oggi a 1 milione 323mila. Gli ultra 90enni saliranno sia nelle Marche sia in Italia: rispettivamente a 33.5 e a 30.1 per mille abitanti. Fra trent’anni, ne avremo il doppio. Questo è ciò che comporta l’invecchiamento della popolazione e la sua contemporanea diminuzione. In termini assoluti, in regione, avremo 20 mila ultra 90enni in più rispetto ad oggi».
E gli ultra centenari nel 2050?
«Saranno più del triplo: 1883 per la precisione (ne avevamo 602). Chiaramente, il peso degli anziani aumenta anche perché la popolazione diminuisce: è un effetto combinato di due dinamiche simultanee».
Un sistema che sembra (quasi) al collasso se guardiamo alla sanità e alle pensioni, no?
«Vorrei ricordare che nel Medioevo si moriva in media a 35 anni e l’incremento del tempo di vita a cui stiamo assistendo è un fatto assolutamente positivo, dovuto a tanti fattori. Però non dobbiamo dimenticare che l’invecchiamento della popolazione comporta delle sfide».
I giovani saranno sempre meno: è così?
«La causa principale della diminuzione dei giovani va ricercata nella bassa fertilità. Questo è un problema di fecondità che caratterizza l’Italia, e soprattutto le Marche. La questione è incentrata sul comportamento riproduttivo che interessa i figli».
Spieghi…
«Il numero di figli per donna ha subìto un forte decremento dalla crisi economica del 2008, quando avevamo 1.44 figli per donna in Italia. Numero, questo, che è sceso a 1.25 nel 2021. Che – ripeto – sembra una sciocchezza, ma è una variazione rilevante. Nelle Marche, per lo stesso arco temporale, i valori sono 1.42 e 1.2. Scende dunque la fertilità, ma noi partiamo già da valori più bassi rispetto alla media nazionale».
Le Marche invecchiano, e di tanto…
«La nostra è una delle regioni al mondo con minor numero di figli per donna».
Prosegua…
«La quota di popolazione 0-14 anni che nel 2002 rappresentava il 12.9% della popolazione totale, è oggi scesa a 12.1 nelle Marche (12.7 è la media italiana, noi siamo sempre sotto). Nel 2050, nelle Marche, la quota scenderà ulteriormente all’11%».
E la piramide delle età?
«Non è più una piramide, ma quasi un rombo. Il valore dell’11% dovrebbe essere un 40%».
La situazione pare preoccupante…
«Preoccupano maggiormente gli indicatori di struttura demografica che esprimono l’effetto combinato della denatalità e dell’invecchiamento. In particolare, l’indice di vecchiaia fa emergere che se nel 2002 c’erano 169 individui over 65 ogni 100 individui tra 0 e 14 anni, beh nel 2022 si è passati a 212. Questo esprime il peso che devono sostenere i giovani. Nel 2050, l’indice salirà a 341 e ogni ragazzino tra gli 0 e i 14 anni avrà sulle proprie spalle 3.4 ultra 65enni».
E quindi?
«E quindi dobbiamo anzitutto immaginare che questo indice medio di 341 assumerà per le Marche valori anche molto più ampi in alcune aree, come nelle zone interne, pure a causa dello spopolamento. A quel punto, si potrebbero raggiungere valori insostenibili dal punto di vista pratico».
E poi?
«E poi, là dove il numero di anziani rispetto ai giovani diventerà tanto alto, quelle zone tenderanno ancora più a spopolarsi. Saranno pochi i giovani o le famiglie giovani che decideranno di rimanere in una simile situazione. E questo innescherà un circolo vizioso».
Soluzioni?
«Non è semplice fornirle. Nelle Marche si celebrano meno di 3 matrimoni per mille abitanti e l’età media alla maternità (età media del primo figlio) è salita al di sopra dei 32.5 anni. Entrambi i valori (matrimoni e maternità) che sono più negativi della media nazionale, esprimono una realtà piuttosto complessa per cui non è facile trovare ricette semplici e immediate. Dovremmo capire perché i matrimoni siano pochi e perché si facciano figli a 32 anni. Se i dati Istat dicono che il modello che preferiscono gli italiani è di 2 figli per donna e nelle Marche se ne fanno 1.2, qualcosa si dovrebbe fare».
Apprezzo la sua diplomazia, ma le chiedo di sbilanciarsi…
«Si potrebbero favorire i progetti di genitorialità, magari attuando azioni che contribuiscano a rendere migliore la conciliazione tra lavoro e maternità, perché oggi non è più pensabile che una donna non lavori. Penso ad esempio a una maggiore disponibilità dei servizi educativi per i figli a prezzi ragionevoli».
Se ne occupò anche l’Univpm, vero?
«Sì, nelle Marche il mio ateneo ha siglato un piano quadriennale di uguaglianza di genere che contiene una serie di misure a favore della conciliazione tra maternità e lavoro, come la realizzazione di un asilo nido, e così via. Ci sono esempi virtuosi di aziende che si impegnano per conciliare maternità e lavoro».
Se dico sanità?
«Mi ascolti: consideriamo la diffusione di patologie croniche come indicazione dello stato di salute. Ebbene, il 39.9% dei residenti in Italia ha dichiarato di esserne affetto. Se saliamo nella fascia di età 55-59 anni, il 51% degli individui soffre di patologie cronico degenerative, quelle più pericolose. Questa quota tra gli ultra 74enni raggiunge l’85.1%. Per gli ultra 74enni, il 65.5% ha dichiarato di essere affetto da 2 o più patologie croniche, la così detta comorbilità. Comorbilità che sfavorisce le donne (dati Istat riferiti all’Italia nel 2022, ndr)».
Tutto previsto…
«Lo sapevamo già 20 anni fa che sarebbe successo».
Vuole dire che non sia stato fatto nulla al riguardo?
«Bisogna mettere in campo azioni serie che rispondano a queste sfide. Sfide da affrontare con serietà, misure nazionali, regionali e locali. Occorre tenere conto di questi numeri e si badi, non ne faccio un problema politico di un particolare governo. Se guardiamo indietro, beh, mi dica lei quante politiche sono state fatte negli ultimi 50 anni per affrontare tali questioni».
Me lo dica lei, professore…
«Diciamo che se fossero state fatte, non si sarebbero rivelate poi così efficaci. Noi sappiamo tutto: se vuole, le dico anche quanti bambini andranno in prima elementare tra 20 anni. Ma qui serve una politica di ampio respiro. In Francia e negli Stati Uniti sono riusciti ad arginare il fenomeno, l’Italia è il fanalino di coda in Europa. Ora tocca a noi, basta volerlo».