TRECASTELLI – Lavora per sette anni in un bar-pasticceria e dopo aver sposato una donna il titolare la licenzia. «C’è crisi», era stata la motivazione riassunta nella lettera di fine rapporto lavoro, nel dicembre 2016. Ma per lei, una addetta al banco di 40 anni, la riduzione dell’attività era stata solo un paravento. A non essere gradita dalla ditta per cui lavorava sarebbe stata l’unione civile tra la dipendente e un’altra donna, avvenuta circa due mesi prima. Troppo clamore. Contattato il suo avvocato ha fatto causa e il giudice del lavoro, a poco più di un anno dal licenziamento, impugnato con il rito Fornero, le ha dato ragione. «È stata una discriminazione». Nella sentenza non si parla di una discriminazione per orientamento sessuale ma è stata accolta l’impugnazione della dipendente che ha ritenuto il licenziamento illegittimo perché dettato da motivo discriminatorio per aver contratto unione civile con un’altra donna appena due mesi prima.
Il licenziamento è stato impugnato attraverso l’avvocato Francesco Gobbi, a febbraio 2017. Il 9 marzo scorso è uscita la sentenza del giudice del lavoro Tania De Antoniis.
Per legge, a meno di una colpa grave della lavoratrice, o la cessazione dell’attività, o l’ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta, vige il divieto di licenziare entro l’anno chi ha contratto matrimonio o unione civile. Questo ha portato il Tribunale ad annullare il licenziamento ordinando al datore di lavoro di reintegrare la ricorrente nelle sue mansioni e a corrisponderle una indennità pari alla retribuzione globale di fatto maturata dal licenziamento alla effettiva reintegra. Il bar-pasticceria potrebbe ricorrere in appello. La lavoratrice in questo anno è rimasta disoccupata ma ancora unita con la donna che ha sposato.