Chiudete gli occhi per un minuto. Immaginate una cattedrale con un’abside bianca. E un uomo abbarbicato su una impalcatura a venti metri d’altezza a preparare quanto serve per affrescare l’intero catino absidale. Lui, sessantasettenne, ordina, controlla il lavoro di addetti ai colori, ai pennelli e quanto altro prevede l’arte antica dell’affresco. In un angolo del palco un principe e alcuni vescovi, silenziosi e assorti. E quando la figura si delinea nella porzione già affrescata, i nasi all’insù, le bocche aperte e gli Oh! di stupore sono di nobili e popolani…
Non è una storia antica, ma assolutamente contemporanea. Il protagonista è il maestro Bruno D’Arcevia, il massimo esponente del neomanierismo creato negli Anni Ottanta del Novecento dal grande studioso e critico d’arte Giuseppe Gatt, in opposizione alla Transavanguardia. E fu proprio Gatt a scoprire il giovane pittore di Arcevia che impersonificazione totalmente la sua Nuova Maniera Italiana. Un successo clamoroso, internazionale, mostre nelle maggiori città europee e americane, protagonista acclamato della Quadriennale di Roma. Il giovane Maestro, scontroso verso tutto il non artistico, venne celebrato dalla stampa specializzata.
Eppure, chiedete a cento marchigiani chi è Bruno D’Arcevia, il Maestro che ha ammaliato il principe Alberto di Monaco, i vescovi siciliani in visita alla cattedrale di Noto che nel terribile crollo del 1996 aveva perduto tutto l’apparato iconografico. Vittorio Sgarbi ha detto che «oggi la Cappella Sistina è a Noto, nell’abside affrescata dall’ultimo Michelangelo», al secolo Bruno D’Arcevia. Forse saranno una decina i marchigiani che risponderebbero affermativamente al quesito. Nemo Profeta in Patria, e in quella decina ci sarà al massimo un giovane.
Una storia che vale la pena di essere raccontata perché nelle Marche a questa importante pagina artistica scritta da uno dei suoi figli più devoti, non è stata riservata la dovuta attenzione. Almeno fino ad oggi, perché da indiscrezioni sembra che in Ancona si stia preparando una mostra celebrativa dedicata al Maestro Bruno D’Arcevia, dalle origini ai tempi moderni passando per l’affresco della cattedrale. Per questo motivo siamo andati ad Arcevia ad incontrare il Maestro per una breve intervista. Lo troviamo a casa insieme alla sua inseparabile compagna.
Come vi siete conosciuti con Magdalena?
«Ai tempi di Roma, quando mi chiesero di tenere dei corsi all’Accademia delle Belle Arti e una sera mi presentarono questa giovane promettente studentessa che iniziò a frequentare il mio studio. Oggi siamo sposati e abbiamo una bellissima figlia di nome Sofia».
Oggi sei conosciuto come il più autorevole esponente del Neo Manierismo, ma come è nato questo movimento e qual’è il suo manifesto?
«Tutto ruota intorno al figura di Giuseppe Gatt: uomo di grandissima cultura, che riusci a capire e decifrare la mia pittura, fino alle più intime sfumature. Uno storico dell’arte illuminato che volle creare un movimento artistico senza tempo e senza età, rivalutando il manierismo del XVI° secolo da contrapporre al concettualismo informale delle avanguardie. Furono anni intensi, di grande impegno, in un’Italia che viveva il periodo della crisi delle ideologie».
Che rapporto hai con l’arte contemporanea?
«Non mi interessa, non provo nulla. A livello locale apprezzo il lavoro di Simona Bramati».
Dove trovi l’ispirazione quando dipingi? Cosa vuoi comunicare?
«Nulla. Sono chiuso nel mio guscio, mi sento fuori dal tempo. La pittura per me è un dono, che ho ricevuto fin da bambino. L’ispirazione arriva da non so dove e la mano si mette all’opera. Io non penso, faccio. Proprio come diceva Picasso: io non cerco, trovo. La mia opera è piena di significato ma non mi preoccupo di fornire gli strumenti per capirla».
Ti sei misurato con l’affresco di una cattedrale, non capita spesso nella vita di un artista. Hai avvertito la responsabilità?
«Noto è la città ideale del barocco, una bella cattedrale completamente ricostituita dopo il crollo che chiedeva nuova vita. La responsabilità è stata tanta, il confronto con la storia ha richiesto enormi energie fisiche e psichiche. L’affresco è sempre una grande impresa, e non tutti lo sanno fare, fortunatamente ho trovato maestranze competenti e professionali, i pochi che hanno conservato i retaggi dell’antichità. Un lavoro duro, ma una grande soddisfazione. E’ stato girato un film che documenta questa impresa: “La Città di Noto, Genesi di un Affresco”».
Quali sono state le difficoltà maggiori per realizzare l’affresco?
«Il controllo del lavoro fatto, verificare le proporzioni, le dimensioni, le prospettive. Comporre i colori con gli stessi ingredienti e le stesse modalità del passato. Problemi derivanti dall’impalcatura fissa che non mi permetteva di avere una visione di insieme. Nel passato, ai tempi di Michelangelo, le impalcature erano di legno e mobili, fornite di ruote che permettevano lo spostamento per scoprire l’affresco e capire eventuali difetti. Io purtroppo non ho avuto questa possibilità».
Secondo te perché nella nostra regione non si è parlato di questo imponente intervento?
<<Le Marche sono una regione che deve ancora imparare a valorizzarsi dal punto di vista turistico, artistico e culturale. Sta migliorando in questi ultimi anni ma la strada da fare è ancora molta. E’ una regione che amo e a cui sono molto legato, un amore che ho cercato di trasmettere con “Marca Parnasiana”, la tela dell’Assemblea Legislativa delle Marche».
Ma sembra che sia imminente una mostra celebrativa?
«E mi fa molto piacere, qualcosa si sta muovendo, grazie al contributo della Regione Marche e alla tenacia dell’assessore di Ancona Paolo Marasca, alla sensibilità del prof.Antonio Luccarini, alla testardaggine dell’Associazione Culturale Marche Atipica e alla disponibilità dei tanti galleristi».