Ancona-Osimo

Aborto nelle Marche, Cgil sul commento della Ferragni: «Il rispetto delle donne passa dal rispetto della legge 194»

Dopo le puntualizzazioni di Fratelli d'Italia e l'attacco del Pd e del mondo medico, in giornata è arrivata anche la presa di posizione della Cgil Marche

Il palazzo della Regione Marche

ANCONA – Non cessa la polemica sull’aborto nelle Marche, suscitata dalla storia pubblicata su Instagram dall’influencer Chiara Ferragni. Entrando a gamba tesa nell’agone politico, già concitato in vista del voto del 25 settembre, l’influencer ha suscitato un polverone, affermando che «Fdi ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche che governa. Una politica che rischia di diventare nazionale se la destra vince le elezioni».

La vicenda, rimbalzata sulle cronache nazionali ed internazionali, ha suscitato l’immediata reazione degli esponenti marchigiani di Fratelli d’Italia, dalla coordinatrice regionale del partito della Meloni, Elena Leonardi, al capogruppo in Consiglio regionale, Carlo Ciccioli, fino alla parlamentare subentrata al posto del governatore Francesco Acquaroli, Lucia Albano.

A stigmatizzare la vicenda è il mondo medico, ma soprattutto quello politico con il Pd che va all’attacco, prima con la parlamentare dem Alessia Morani, candidata in corsa per le elezioni politiche, e poi con la consigliera regionale dem Manuela Bora, da tempo in prima linea nella difesa della Legge 194, che regola l’aborto.

La storia pubblicata da Chiara Ferragni

Nella giornata di oggi si registra anche la presa di posizione della Cgil Marche sulla vicenda secondo cui «il rispetto delle donne passa attraverso il rispetto della legge 194». Il sindacato in una nota stampa ricorda di aver «denunciato il comportamento della Regione Marche in merito alla non piena applicazione della Legge 194, una legge di civiltà che tutela la libertà di scelta delle donne la loro autodeterminazione e il loro diritto alla salute. La Regione in questi anni – prosegue la nota – ha sempre ostacolato la piena applicazione della legge, tant’è che a febbraio di quest’anno la Cgil insieme ad altre organizzazioni ha diffidato formalmente la Regione ad applicare le indicazioni del Ministero della Salute in merito alla somministrazione della Ru486».

Secondo Cgil «è necessario che da subito la Regione Marche colmi i ritardi accumulati sia per quanto riguarda l’interruzione di gravidanza farmacologica, solo il 6%, ben lontana dalla media nazionale. Per non parlare della situazione dei medici obbiettori che nelle Marche rappresentano il 73% dei medici ospedalieri, e il 30% di quelli nei consultori, il 45% degli anestesisti. Ma oltre a ciò ad aggravare la situazione vi è anche la significativa riduzione del numero dei medici ginecologi».

Per questo il sindacato invoca un intervento «per garantire in maniera omogenea in tutto il territorio marchigiano i servizi per tutelare la salute e i diritti delle donne, ma anche quelli del personale non obbiettore» e «un cambio di passo subito, da parte della Regione, perché mai come in questo momento è strategico investire nella rete dei consultori, nell’accesso all’aborto farmacologico, senza che le donne siano costrette ad andare fuori regione o recarsi in cliniche private. Perché non dobbiamo dimenticarci di quanto dolore si cela dietro a queste scelte. Ma soprattutto dobbiamo guardare alle giovani generazioni per le quali è fondamentale garantire un’adeguata educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole, e l’accesso a anticoncezionali sicuri».

Secondo Cgil occorre far «rivivere lo spirito autentico della Legge 194 che afferma la centralità della maternità consapevole, riconoscendo il valore sociale della maternità, e l’importanza della prevenzione. Per questo ci piacerebbe discutere con la Regione come fare per migliorare l’occupazione femminile nelle Marche, e renderla più stabile e come garantire i servizi all’infanzia. Siamo convinte che le grandi battaglie fatte dalle donne in tutti i tempi abbiano fatto da traino a grandi trasformazioni sociali, per questo noi saremo in prima linea a difendere “senza se e senza ma” i diritti delle donne».

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