Ancona-Osimo

Marche, faccia a faccia con i cinghiali. Ecco cosa fare in caso di incontro ravvicinato. Intervista all’esperto

L'educatore ambientale Cristian Gori ci spiega che fare in caso di faccia a faccia, eventualità per nulla rara nella nostra regione

Cinghiali attraversano il Taunus di Numana, foto d'archivio

PESARO – Gli incontri ravvicinati con i cinghiali nelle Marche sono oramai consuetudine. Non c’è provincia o comune dove, sia in campagna, ma sempre più spesso anche a ridosso dei centri storici (ma non sono rare la capatine anche dentro le zone residenziali) questi ungulati si spingono alla ricerca di cibo. Visite che spesso vengono fatte in branco, alla presenza di esemplare adulti e cuccioli. Una presenza che provoca non poche problematiche: agli agricoltori, che si trovano interi appezzamenti devastati, ma anche agli automobilisti: non è raro che il loro attraversamento stradale sia causa di sinistri a volte anche con esiti nefasti. Un’emergenza dilagante, molto più impattante e potenzialmente pericolosa rispetto alla tanto conclamata presenza dei lupi, loro antagonisti naturali. Ma come arginare il problema e, soprattutto, come comportarsi in caso di incontro ravvicinato con esemplare che può tranquillamente raggiungere il quintale di peso e che, nel caso si sentisse in pericolo, è in grado di attaccare ed uccidere un uomo? Lo abbiamo chiesto all’educatore ambientale Cristian Gori.

Partiamo dall’inizio: le incursioni della fauna selvatica, ed in particolare di cinghiali, sta diventando consuetudine in diverse zone delle Marche: perché gli ungulati si spingono sempre più a ridosso della città?
«Il cinghiale appartiene al gruppo degli ungulati, come cervi, caprioli, daini, mufloni, stambecchi e camosci. In Italia il cinghiale è l’ungulato attualmente più abbondante, con una stima che secondo ISPRA (Istituto superiore di protezione e ricerca ambientale) supererebbe il milione e mezzo di esemplari. La popolazione del cinghiale in Italia ha avuto un andamento in passato contrario a quello attuale: nel XIV secolo c’è stata una progressiva rarefazione degli esemplari che ha portato persino ad estinzioni locali, come quelle registrate in Trentino, Friuli, Romagna e Liguria. Il picco minimo per questa specie in Italia si ebbe dopo la seconda guerra mondiale e per risolvere il problema si decise di intervenire con introduzioni di esemplari prelevati dall’est europeo. Con l’abbandono delle zone rurali e successivo rimboschimento, con l’istituzione di aree protette precluse all’attività venatoria (responsabile principale del calo demografico descritto in precedenza) la popolazione del cinghiale in Italia continuò ad aumentare, tanto che oggi non è così difficile osservare esemplari a ridosso delle città. Se constatiamo la presenza di facili risorse alimentari come rifiuti e cibo per animali domestici non adeguatamente custodito, ecco che le città diventano una nuova zona favorevole alla presenza di questo animale selvatico. Si racconta spesso che i cinghiali attuali siano i diretti discendenti di queste introduzioni passate e che questi poi si siano progressivamente incrociati con maiali inselvatichiti. Un recente studio italiano pubblicato nel 2022 sfata queste percezioni comuni, dimostrando che nella genetica dei cinghiali selvatici attuali le quote dei cinghiali dell’est Europa e dei maiali domestici non sono così significative».

I cinghiali a Sirolo

Parlando di cinghiali e, alla luce dei danni ingenti causati ai terreni agricoli o degli incidenti automobilistici causati, spesso si è paventata la possibilità di una caccia selettiva anche fuori dalla stagione venatoria: credi che sarebbe una soluzione adeguata? Quali altre si possono percorrere per arginare il problema?
«Il controllo venatorio del cinghiale in Italia viene effettuato attraverso 3 forme di caccia: la caccia “classica”, effettuata all’interno dei normali calendari venatori dai cacciatori; la caccia per selezione, effettuata da cacciatori appositamente abilitati, sia all’interno che all’esterno dei calendari venatori; la caccia di controllo, realizzata di norma dalla polizia provinciale che viene attivata in momenti e contesti di emergenza, sotto il parere di ISPRA. Negli ultimi anni sono stati abbattuti mediamente 300.000 cinghiali all’anno in Italia e di questi capi la caccia classica e la caccia di selezione rappresentano la parte principale con l’86% degli esemplari, contro il restante 14% della caccia di controllo.

Alla luce del costante aumento del numero dei cinghiali, è evidente che la caccia al cinghiale così come è stata praticata finora non ha sortito gli effetti desiderati al contenimento della specie. Secondo alcuni studiosi come Mazzatenta dell’università degli studi di Teramo, sarebbe proprio la caccia la principale responsabile di questo aumento considerevole di animali nel corso degli anni. Il professore sostiene anche la tesi della matriarca, secondo la quale l’uccisione della femmina principale del branco farebbe terminare l’inibizione dell’estro delle femmine subordinate, con un conseguente rapido aumento delle cucciolate.

Per questi motivi, con l’appoggio delle principali associazioni animaliste e ambientaliste, sostiene che la caccia al cinghiale venga limitata il più possibile per evitare l’aumento incontrollato della specie che si sta osservando, in favore di metodi alternativi. ISPRA d’altra parte non supporta questa ipotesi e rigetta anche la teoria della matriarca per mancanza di solide basi scientifiche. Ritiene al contrario che la caccia sia un elemento indispensabile al controllo del numero dei cinghiali. ISPRA comunque segnala delle criticità nell’attuale gestione dell’attività venatoria, che dovrebbe essere maggiormente intensa, più selettiva verso i piccoli e meno concentrata verso i maschi adulti, come spesso accade. Oltre agli abbattimenti, l’altra modalità che permette di limitare i danni provocati dai cinghiali consiste nell’applicare i metodi preventivi.

In alcuni territori particolarmente vocati al cinghiale, la caccia non potrà essere comunque l’unica risposta praticabile perché gli animali continueranno ad esserci. Un metodo che consente di limitare i danni in maniera efficace consiste nel delimitare il terreno con una recinzione elettrificata. Nonostante i buoni risultati, oltre ai costi di impianto, bisogna valutare il suo utilizzo in base alle situazioni e risulta non sempre utilizzabile. Si parla anche di farmaci che limiterebbero le nascite, primo tra tutti il GonaCon, un vaccino immuno-contraccettivo che interferisce con gli ormoni sessuali dell’animale, bloccando l’ovulazione nella femmina e la spermatogenesi nel maschio. Anche se ha dimostrato di essere affidabile ed efficace, con trascurabili effetti collaterali, si tratta di un vaccino che va somministrato per via intramuscolare, costringendo la cattura degli animali per poter essere inoculato. Pratica non semplice e soprattutto costosa, considerando anche il grande numero di cinghiali in Italia. Inoltre questo vaccino ha una efficacia limitata a qualche anno e questa decresce nel corso del tempo, costringendo alla somministrazione di almeno una seconda dose. Si sta cercando di sviluppare un vaccino GonaCon somministrabile per via alimentare, ancora in fase sperimentale. Se mai diventasse utilizzabile, il problema principale rimarrebbe la selettività di azione che non riguarderebbe solo la specie target: una volta ingerito sarebbe attivo su molte specie animali, non solo sul cinghiale».

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Nonostante ci sia una paura atavica e non giustificata dei lupi, un incontro ravvicinato con un cinghiale o con un branco può rappresentare un potenziale pericolo ben più reale: come bisogna comportarsi in caso di faccia a faccia? Va usata la medesima strategia sia se ci si trova in campagna, magari in un trekking sulle colline, che in un ambiente urbano?
«Bisogna tenere conto che, di norma, un cinghiale ha paura dell’essere umano. Normalmente un cinghiale in nostra presenza scappa e si rifugia altrove. Questo però può non essere vero per diversi motivi: se il cinghiale dovesse trovarsi in un ambiente chiuso o comunque senza vie di fuga, alla nostra vista potrebbe diventare aggressivo e affrontarci, perché incapace di mettersi in salvo in altro modo. Altre volte, il cinghiale potrebbe non scappare perché abituato alla presenza umana e quindi non rappresentiamo per lui una minaccia. Questo avviene spesso quando gli animali vivono già vicino alla città e sono abituati alle persone, perché vengono avvicinati frequentemente da queste con la scusa del cibo, in queste situazioni l’animale smette di temerci e inizierà a collegare la nostra presenza a quella di un facile pasto.

Normalmente quando si frequenta un posto in cui potrebbe essere presente un cinghiale, la cosa migliore è fare sentire la propria presenta facendo rumore. Questo allontanerebbe gli animali che si troverebbero nelle immediate prossimità, facendo evitare l’incontro. Se dovessimo incontrare un cinghiale e questo non dovesse scappare in nostra presenza, la cosa migliore da fare è allontanarsi lentamente senza fare gesti bruschi o scappare via velocemente, evitando così di innervosire il cinghiale che potrebbe considerarci una minaccia concreta. Va comunque detto che la fuga da questi animali è poco utile: un cinghiale in corsa è molto più forte e veloce di qualsiasi essere umano.

La presenza del cane è un grande fattore di rischio, se non correttamente gestito: un cane sciolto e libero di andare, potrebbe facilmente catturare l’attenzione di un cinghiale e per questo (oltre che per legge) l’animale domestico va sempre tenuto al guinzaglio. Questo potrebbe non bastare perché, nonostante il cane legato, alla vista del cinghiale potrebbe cominciare ad abbaiare o ringhiare. In questo caso interviene una corretta gestione dei propri animali e conoscere come devono comportarsi alla vista di altri animali, cinghiali e non».