ANCONA – La situazione del comparto manifatturiero è stata analizzata nel corso del convegno “Il futuro delle Marche. Manifattura, infrastrutture e nuove tecnologie”, promosso da Confindustria Marche, Fondazione Aristide Merloni e Fondazione Marche, svoltosi ieri (17 ottobre) nella sede di Confindustria ad Ancona. Obiettivo dell’evento analizzare un settore tra luci e ombre, raffrontandolo alla situazione delle altre regioni, specie di quelle considerate le locomotive d’Italia, per una riflessione a tutto tondo sulle iniziative future da attuare.
All’evento, che ha registrato una grandissima affluenza da parte del mondo imprenditoriale e politico, ha preso parte un parterre di relatori di grande rilievo. Presente Claudio Schiavoni, presidente Confindustria Marche, Francesco Merloni, presidente Fondazione Merloni e Fondazione Marche, Enrico Letta, presidente Comitato Scientifico della Fondazione Aristide Merloni, Stefano Buffagni, viceministro allo Sviluppo Economico, Andrea Montanino, capo economista Confindustria, Carlo Cottarelli, direttore Osservatorio Conti Pubblici Italiani, Michele Geraci della Global Policy Institute of London, Andrea Gavosto, Fondazione Agnelli, Mario Pesaresi, Fondazione Marche, Lucio Poma della Nomisma.
Tra i punti di forza dell’economia marchigiana individuati da Claudio Schiavoni c’è «la volontà degli imprenditori di andare avanti e di innovarsi. Nonostante questa crisi sia la più lunga dal dopoguerra, se guardiamo attentamente i dati, il Pil della manifattura è ancora in crescita». Le Marche per il presidente di Confindustria non possono fare a meno della manifattura che per rapporto fra personale impiegato e imprese è la regione più manifatturiera d’Italia.
«Le inefficienze sono dovute soprattutto alle infrastrutture stradali, di rete e alla burocrazia che ci penalizza notevolmente», criticità che frenano la crescita. Un ambito nel quale «l’aeroporto è un aspetto fondamentale per la crescita e lo sviluppo commerciale delle aziende» ha evidenziato Schiavoni, spiegando che la ricetta per il rilancio passa attraverso l’industria 4.0, ovvero la digitalizzazione, che permette alle imprese di essere competitive.
«Da isola felice, oggetto di studio delle principali università del mondo, siamo oggi divenuti un caso problematico» ha dichiarato Francesco Merloni nel tracciare un quadro dell’economia regionale a partire dagli anni ’70-’80 quando si era assistito «alla più impetuosa crescita». «Da comunità agricola siamo divenuti una regione industriale. Anzi, la più industriale d’Italia e una delle prime dieci tra le 400 regioni d’Europa».
Globalizzazione, crisi finanziaria e bancaria hanno messo in crisi le produzioni e portato ad «un impoverimento nell’ordine di miliardi». Ma nonostante le ombre il settore è cresciuto ed è il motore principale dello sviluppo delle Marche: l’export dei prodotti manifatturieri rappresenta oltre il 90% del valore dell’export regionale e il 75% della spesa privata in ricerca e sviluppo viene finanziata dalle imprese manifatturiere. Per questo secondo Merloni occorre «eliminare i vincoli che ostacolano la crescita delle imprese». «Il futuro è dei giovani – ha concluso – : quei giovani che si stanno impegnando in nuove attività di impresa, soprattutto nelle start up innovative, dove le Marche sono ai primi posti in Italia».
Il viceministro Stefano Buffagni ha spiegato che le imprese devono lavorare come «sistema Italia» e che sono loro che ci devono aiutare a capire quali sono le leggi e la burocrazia da eliminare. Un quadro sul quale pesano anche le scelte che verranno attuate in vista del bilancio e l’evasione fiscale.
«Il bilancio chiede scelte coraggiose ma anche complicate, certo è che non è possibile stravolgere le partite Iva. Occorre ragionare per tutelare chi si è impegnato a mettersi in proprio con delle regole che lo Stato gli ha posto e che non possono cambiare tutti gli anni».
Ma il tema principale per Buffagni è il lavoro: «Se c’è meno evasione ci sono più risorse per aiutare le imprese e per creare occupazione». Quello che manca al Paese è l’amor proprio e il concetto di filiera sul quale insiste un problema di natura culturale. Sul fronte delle infrastrutture ha ricordato la carenza nella copertura della fibra ottica che nelle Marche raggiunge solo il 50% del territorio. «Entro il 2021 dovremo bloccare la produzione di plastiche monouso – ha dichiarato -, quelle aziende dovranno essere aiutate a riconvertirsi altrimenti si avrà carenza nel Pil e nell’occupazione».
Enrico Letta ha posto l’accento sul nuovo progetto della legislatura europea che è la continuazione del Piano Junker, che «stanzia molti fondi in più». «Una grande occasione per le Marche, perché il nuovo piano, che partirà dall’anno prossimo, è finalizzato soprattutto alle piccole e medie imprese» di cui il territorio è ricco. Una grande opportunità che secondo Letta «non bisogna lasciarsi sfuggire».
A causare il declino dell’economia regionale è stato soprattutto l’impatto della globalizzazione, ma secondo Letta occorre reagire con la capitalizzazione delle imprese e l’internazionalizzazione. Sul fronte della lotta all’evasione fiscale ha detto che «il Paese ha bisogno di togliere i vincoli e far sì che le persone oneste siano avvantaggiate, è su di loro che bisogna puntare».
QUALCHE NUMERO – Secondo i dati illustrati da Andrea Montanino, se le Marche da un lato restano la regione con il tasso di industrializzazione più elevato d’Italia e più manifatturiera (42%), con Fermo come provincia con l’intensità industriale più elevata (47%), dall’altro sono indietro per le infrastrutture, come ferrovie, autostrade e collegamenti aerei, il nodo più critico, oltre che per l’innovazione. Sono una regione «in bilico tra attrattività e repulsività». Positivi il dato sul fronte dei brevetti, sopra la media nazionale, e quello delle esportazioni a contenuto tecnologico. Bene anche le start up innovative che piazzano le Marche sul podio della classifica nazionale. La regione però non riesce ad arginare la fuga di cervelli.
Le imprese della regione Marche hanno una produttività inferiore alla media nazionale del 16% secondo Carlo Cottarelli mentre rispetto alla regione più produttiva, la Lombardia, sono sotto del 32%. Un divario che secondo Cottarelli potrebbe dipendere non solo da una differenza nelle caratteristiche “interne” alle imprese (settore di attività, dimensione), ma anche da uno scarto significativo in termini di efficienza del settore pubblico e accessibilità del territorio. Nella classifica delle regioni le Marche si posizionano all’11esimo posto, superate da tutto il Centro-Nord (a eccezione dell’Umbria). Ancona è fra le province in testa, mentre le altre hanno una produttività inferiore.
Andrea Gavosto ha messo in luce la situazione dal punto di vista della formazione. Le Marche risultano eccellenti nell’istruzione prescolastica della scuola dell’infanzia e nella primaria che mostrano livelli sopra la media nazionale: «Un fatto importante – ha dichiarato – perché essendo l’istruzione un processo cumulativo, prima si inizia e meglio è». Ma iniziano a perdere punti a partire dalle medie e nel procedere degli anni scolastici la situazione è ancora peggiore, mentre sul versante universitario abbiamo una percentuale di laureati più bassa fra i Paesi avanzati. «Manca una filiera professionalizzante», ha detto evidenziando il ruolo importante degli Its e delle lauree professionalizzanti nel formare quelle figure tecniche richieste dalle aziende.
Per Mario Pesaresi l’inefficienza costa dai 2,5 ai 3 miliardi di Pil con ripercussioni in chiave occupazionale, mentre la penalizzazione nelle comunicazioni incide per circa 5-6 miliardi. «Possiamo fare molto: serve l’alta velocità in Adriatico e un aeroporto con un nucleo di passeggeri intorno a 1 milione».
Lucio Poma ha evidenziato che negli ultimi 4 anni la grande impresa marchigiana ha perso il 22% di occupati e l’8% di imprese. «È necessario creare un cluster – ha detto – in modo che il vantaggio della grande impresa lo diventi anche per la piccola e media impresa. Nel decennio 2008 e 2018 le Marche sono cresciute del 3,5% mentre il centro Italia del 32%, mentre sul fronte dell’innovazione rappresentano l’1% del Pil. «Manca una regia, occorre scegliere un obiettivo e concentrare lì le risorse».