Ancona-Osimo

Marche, spaghetti al granchio blu tra i rimedi per limitare le specie marine «aliene»

Roberto Danovaro, biologo e docente dell'Università Politecnica delle Marche, parla della diffusione di pesci «non indigeni» in Adriatico. E delle conseguenze

Roberto Danovaro

ANCONA – Pesci palla, pesci pappagallo e scorpione, e poi ancora noci di mare, granchi blu e vongole filippine: gli studiosi le chiamano «specie aliene» ma a differenza degli alieni, la loro diffusione, nel Mediterraneo come in Adriatico fino al mare che bagna le coste delle Marche, è verificata, studiata e censita. Colpa delle navi, del surriscaldamento globale, del Canale di Suez, ma un rimedio c’è: mangiarsele. CentroPagina ne ha parlato con il professor Roberto Danovaro, biologo e docente all’università Politecnica delle Marche.

Professor Danovaro, sono molte le specie importate nel nostro mare Adriatico e presenti e distinguibili soprattutto nelle Marche?
«Quello delle specie che si definiscono non indigene o aliene è un argomento di grande e crescente attualità, che è stato discusso in diversi contesti. Per dare un ordine di grandezza, nel Mediterraneo ci sono censite circa 17mila specie, tra queste il numero complessivo di quelle aliene si avvicina alle mille. E moltissime di queste arrivano in Adriatico, un mare che si sta riscaldando più velocemente di altri, e dato che tutte queste specie provengono prevalentemente da ambienti tropicali in Adriatico trovano le condizioni ideali per insediarsi».

A cosa è dovuto, principalmente, questo tipo di importazioni?
«Il loro ingresso deriva da tre fonti principali. Il primo è quello delle incrostazioni, dette fouling, che si formano sulle chiglie delle navi, un problema che risale già all’epoca di Cristoforo Colombo. Con i grandi traffici marittimi, in particolare quelli che attraversavano l’oceano Atlantico, le carene delle navi venivano ricoperte da organismi incrostanti che attraversando i mari si diffondevano ovunque. E già allora si cercava di evitare questo fenomeno, non per ragioni ecologiche ma perché le incrostazioni rallentavano notevolmente la velocità delle navi. Adesso il 90% del trasporto globale avviene tramite navi e tutte portano con loro organismi che aderiscono sulle chiglie. In più ci sono le navi che usano acque di zavorra, come quelle che trasportano idrocarburi. Caricando acqua caricano anche una quantità enorme di plancton e larve di pesci. Un esempio drammatico, in tal senso, è un organismo gelatinoso che si chiama Mnemiopsis leidyi, che assomiglia a una piccola medusa: le petroliere che partivano da Azov o da Odessa e scaricavano idrocarburi ricaricando acque in Atlantico per svuotarle al loro ritorno l’hanno introdotto proprio nel Mar Nero e questa specie ha messo in ginocchio per molti decenni la pesca dei piccoli pelagici. Questo per dire quanto questo problema che sembra folkloristico possa, invece, avere conseguenze anche economiche devastanti sul settore della pesca. E poi c’è un altro fattore di importazione, che è stato per molto tempo l’esca usata dai pescatori, il verme coreano e altre specie venivano importati dall’Asia e non tutti finivano per morire sull’amo. Quindi abbiamo introdotto specie aliene anche in questo modo. Senza considerare poi gli effetti dovuti all’apertura del Canale di Suez, adesso addirittura raddoppiato: la maggior parte dei pesci tropicali censiti a Linosa e Pantelleria, per esempio, come i pesci pappagallo, vengono proprio dal Mar Rosso».

Quali le specie nostrane che rischiano di scomparire per colpa della concorrenza?
«Sono numerose. Basti pensare all’esempio della nostra vongola, quella originale italiana che è sempre stata abbondante in adriatico, è stata di fatto largamente soppiantata dalla vongola filippina, introdotta ormai alcuni decenni fa, che è resistente e più grossa. Oppure i granchi nostrani di fronte al granchio blu, o azzurro, che viene dall’Atlantico. Si tratta di un grosso granchio che ha cominciato già da alcuni anni a distribuirsi anche sui nostri litorali, facendo delle tane lungo le spiagge. Si sta diffondendo da Lesina a Chioggia e a farne le spese sono i nostri granchi autoctoni, sempre più rari. Arriva anche a venti centimetri e ha una carne ottima per la cucina».

Finiremo per mangiare pesci tropicali e orientali al posto di spigole, orate e moscioli?
«Beh, in parte stiamo già cominciando a farlo, come nel caso delle vongole delle Filippine. Ma dobbiamo anche superare la diffidenza nel mangiare cose che non conosciamo. Uno dei suggerimenti dei ricercatori è di trasformare alcune specie invasive in un obiettivo alimentare, per contenerne l’espansione. il granchio blu è ottimo per il sugo, ma c’è anche il pesce scorpione, bellissimo negli acquari e comune in Mar Rosso, che sta ora espandendosi in Mediterraneo. È estremamente aggressivo e può mettere alle corde moltissime specie costiere e profonde. In Grecia cominciano a catturarlo e a mangiarlo, facendo attenzione a non pungersi. Ha una carne bianca compatta e buonissima, anche in questo caso abbiamo la possibilità di lavorare di forchetta per contribuire a limitare l’espansione di queste specie. Poi ci sono anche specie aliene che è meglio non mangiare, come il pesce palla maculato, che nel 2003 era solo da Cipro a Israele, nel 2013 già in Sicilia e poi fino nelle Marche, specie che per adesso da noi è ancora rara, ma potenzialmente mortale se uno se la mangia, tanto è vero che dall’Ispra è partita una campagna di prevenzione, perché la sua carne contiene una tossina potenzialmente mortale».

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