ANCONA – Ha rischiato la propria vita per salvare quella di un ebreo. È la storia di Maria Principi (in Mancinelli), una residente del Comune di Appignano, in provincia di Macerata. Il calendario segnava il 19 febbraio 1944. I bombardamenti, allora, era una realtà, così come i rastrellamenti delle truppe nazifasciste nei confronti degli ebrei.
In una casa del paese, Ivo Loewenthal, un giovane ebreo anconetano, stava festeggiando il matrimonio con sua moglie, Zoe Stacchetti. Ivo era stato liberato dal campo di concentramento in cui era stato insieme a papà Guido. La mamma di Ivo era invece paralizzata su una sedia. È metà mattina quando la porta di quella casa viene spalancata dalla polizia fascista.
Si cercano ebrei ed eccoli lì. Ivo intuisce la pericolosità della situazione e fugge dalla finestra. Zoe verrà risparmiata (in quanto non ebrea) e ad essere presi saranno mamma Eugenia e suo marito Guido. Lei morirà nel tragitto, lui nelle camere a gas di Auschwitz.
A ripercorrere quei momenti, è Alessandra Mancinelli. Maria era la bisnonna: «Ivo fuggì per le campagne e percorse circa 3 chilometri. Chiese aiuto, ma nessuno si offrì. Poi, arrivò al nostro casolare. Era freddo, c’era la neve. A casa dei miei bisnonni, gli aprì la porta la mia bisnonna. Che si accorse subito di conoscere quel giovane perché dai Loewenthal lei comprava dei ventagli per il camino».
Maria, a quei tempi, aveva 59 anni, Ivo – forse – una 30ina. Non ci sono documenti scritti di questa fase della storia, ma solo racconti tramandati di generazione in generazione: «La mia bisnonna aveva 8 figli e la caratterizzava un istinto materno sviluppato. Per lei, Ivo sarebbe potuto essere suo figlio».
Così, Maria e suo marito Giovanni Mancinelli accolsero quel giovane ebreo che sarebbe dovuto finire nel mirino di un fucile o in un campo di concentramento e sterminio: «Si sono tutti adoperati per nascondere Ivo – spiega Alessandra –. E siccome c’era il forno esterno pronto per cuocere il pane con la legna già dentro, decisero di togliere la legna e mettere Ivo nel forno».
«Dopo qualche istante, arrivò la polizia fascista chiedendo se la mia famiglia avesse visto Ivo passare. Tutti i nostri vicini delle case precedenti dissero di sì, che era passato e chiedeva aiuto. I miei bisnonni negarono tutto. E intanto Ivo era nascosto nel forno. La polizia ha quindi fatto una prima perquisizione in casa senza trovare nulla. Poi, le camionette sono ripartite», lasciandosi dietro non solo il fumo della stradina di campagna, ma anche quelle minacce che risuonano ancora nella testa di Alessandra: «Se troviamo l’ebreo a casa vostra, fuciliamo lui e voi».
Intanto, le ricerche proseguivano in tutto il paese, ma i Mancinelli si erano tranquillizzati: «Intorno alle 12, hanno fatto uscire Ivo dal forno e l’hanno fatto entrare in casa, anche perché – precisa Alessandra – il forno si trovava all’esterno del casolare ed era freddo, essendo febbraio. Ivo si accomoda a pranzo e mangia con i Mancinelli».
Ma è nel pomeriggio che torna la paura a bussare ai Mancinelli. Bussano la paura e gli ufficiale fascisti, perché qualcosa – a detta loro – non andava per il verso giusto: «La polizia si chiedeva come mai i nostri vicini avevano visto Ivo e dopo di noi, invece, se ne erano perse le tracce. Erano sicuri che si trovasse dentro casa nostra», dice Alessandra.
E in realtà era proprio così. «Era l’imbrunire, faceva quasi buio, dato che erano le 17.30 di un inverno qualsiasi. E un casolare di campagna – fa notare Alessandra – nel 1944 non aveva energia elettrica e l’unica luce che c’era era quella delle torce, delle lampade e delle candele. Perciò, dentro casa si vedeva poco».
Ma andiamo con ordine: «Quando la polizia è tornata per la seconda volta, era a mani vuote e voleva a tutti i costi trovare Ivo, che non era passato dalle case successive. Insomma, erano convinti che fosse a casa Mancinelli. Sull’uscio, ancor prima di entrare, volavano minacce e intimidazioni. ˈTirate fuori l’ebreo – dicevano – altrimenti vi bruciamo casa con voi dentro e il primo che prova ad uscire dall’abitazione verrà fucilato all’istanteˈ».
Ivo era ormai dentro casa e non sarebbe potuto uscire, con la polizia fascista che stava perquisendo ogni stanza. «Decisero di nasconderlo nell’armadio della stanza della mia bisnonna, dietro le sue vesti lunghe. Si affidarono alla sorte – commenta Alessandra –. Poi, hanno fatto entrare la polizia fascista che ha perquisito tutto, buttando all’aria qualsiasi cosa. Mio nonno mi raccontava che il mio bisnonno era molto arrabbiato perché era tutto a soqquadro».
Dopo la sala, la cucina, il bagno e la cantina, i sottufficiali arrivano nella stanza di Maria, dove si nascondeva Ivo: «Hanno aperto l’armadio, ma era buio e le luci delle torce non facevano troppa luce. Ivo è stato fenomenale perché ha trattenuto il respiro e la polizia non si è accorta di nulla. Ha quindi richiuso l’armadio, pensando non ci fosse nulla al di là delle vesti».
«Le camionette se ne andarono per la seconda volta, ma tutta la famiglia era impaurita, per Ivo e per loro perché ormai avevano capito di essere monitorati dalla polizia fascista. Ivo non era più al sicuro, ma neanche i miei familiari – evidenzia Alessandra –. La polizia sarebbe potuta tornare ancora. Pertanto, decisero di chiamare il cugino di mio nonno, Elio Mancinelli, che si era alleato coi partigiani della compagnia di Alvaro Litargini, a Poggio San Vicino».
«Hanno aspettato che tornasse in paese e gli hanno chiesto se avesse potuto portare Ivo in montagna con lui e con gli altri partigiani. Lì, sarebbe stato più al sicuro e se la polizia fosse tornata al casolare, beh, non avrebbe (davvero) trovato nessun ebreo».
Il partigiano Elio accettò, e Maria fece in fretta e furia la valigia a Ivo, mettendogli dentro ciò che gli passava per le mani: «Un salame, un filone di pane che producevano i miei bisnonni, una bottiglia di vino e altre scorte di cibo». Ivo è così partito per Cingoli e Poggio San Vicino: «La prima notte pare abbia dormito a frazione Grottaccia di Cingoli. Quasi al termine della guerra, chiese ai miei bisnonni una bicicletta (che poi riconsegnò) per raggiungere Ancona e trovare un lavoro».
Ivo tornò quindi a vivere nella sua città, Ancona: «Qualche tempo dopo, fece riavere ai miei bisnonni la bici e trascorse la vecchiaia ad Appignano. Mio padre, Ivo lo ricorda bene. Io sono cresciuta con questa storia».
Domandiamo cosa si provi a ripercorrere quegli istanti, seppur a distanza di anni. «Guardi, questa domanda me l’ha fatta una ragazzina di 13 anni, che avevo incontrato in una scuola. E io sono rimasta spiazzata. Posso dire – risponde Alessandra – che è una storia che mi ha trasmesso valori che non avrei ricevuto, se non fosse successo tutto questo e che mi ha fatto capire il senso della vita».
Se la Shoah – come disse qualche mese fa Liliana Segre (superstite dell’Olocausto) – sia destinata a finire in un solo rigo di storia? «Non deve accadere, per questo continuo a raccontare».
La scorsa domenica (22 gennaio), per rendere omaggio alla figura di Maria Principi Mancinelli, è stata celebrata la Santa Messa nella Chiesa Gesù Redentore dal parroco, don Gianluca. In seguito, al cimitero comunale, è stata apposta una targa commemorativa in ceramica presso la cappella della famiglia Mancinelli, dove riposa anche la coraggiosa Maria.