ANCONA- «È troppo mascolina, non è stata stuprata». Munite di cartelli e al grido di «vergogna!», «siamo indignate», «siamo tutte Vikingo», un centinaio di persone si sono ritrovate quest’oggi (11 marzo) sotto la Corte d’Appello di Ancona per protestare contro le motivazioni della sentenza choc.
Tre giudici donna della corte territoriale marchigiana, avrebbero assolto due giovani condannati in primo grado a cinque e tre anni per violenza sessuale, adducendo come motivazione che la vittima, una giovane peruviana, somigliasse ad un maschio. In tanti hanno partecipato al flash mob di protesta #siamotuttivikingo (appellativo con il quale la vittima era stata memorizzata nel cellulare di uno degli stupratori) organizzato dal comitato Marche Pride e dalla rete femminista Rebel Network: donne, uomini, il centro antiviolenza Donne e Giustizia, i sindacati Cgil, Cisl e Uli, il movimento politico Altra Idea di Città.
«Sono state utilizzate parole offensive gratuite. Non mettiamo in discussione il lavoro dei giudici ma le parole che sono state utilizzate» commentano alcuni rappresentanti del comitato Marche Pride e della rete femminista Rebel Network.
«Partecipando alla manifestazione abbiamo voluto dimostrare tutta la nostra indignazione per le parole che sono state utilizzate in questa sentenza. Non entriamo nel merito della sentenza perché quella è materia dei giudici però le parole usate sono veramente pietre che si abbattono su percorsi di emancipazione femminile. Si ritorna a fare una valutazione sull’aspetto estetico della donna: non può essere stato stupro perché era brutta e quindi consenziente? E se è bella, allora, forse, è provocante e se l’è cercata? Non possiamo accettare questa involuzione. Reclamiamo il diritto di dire no» dichiara Claudia Mazzucchelli, segretaria Uil Marche.
Sulla sentenza è intervenuta anche la presidente della commissione regionale Pari Opportunità Meri Marziali. «È una vergogna che non ha alcuna giustificazione. Una sentenza indegna, tanto più deprecabile perché emessa da un collegio giudicante, come si apprende dagli organi d’informazione, formato da tre donne. Non è possibile pensare che in Italia la giustizia passi per l’avvenenza o meno di una persona. Se così fosse, ci troveremo al cospetto di una pericolosa regressione dell’intero sistema. I termini usati dal collegio giudicante sono non solo offensivi e mortificanti per tutte le donne, ma determinano un vulnus sul piano dell’etica e lanciano un messaggio pericoloso alle nuove generazioni, già alle prese con una società che infonde poche certezze e, in alcuni casi, sembra annullare anche i traguardi raggiunti».