Ancona-Osimo

Mille trapianti, intervista alla coordinatrice regionale Francesca De Pace

È l'obiettivo raggiunto a metà novembre dal Centro Regionale Trapianti Marche in 13 anni di attività. «Abbiamo fatto miracoli: è un numero altissimo che riflette il grande lavoro svolto dai medici anche a livello periferico», dice la coordinatrice della struttura

Dott.ssa Francesca De Pace, coordinatrice regionale trapianti

ANCONA – Mille trapianti di fegato e rene. È l’obiettivo raggiunto a metà novembre dal Centro Regionale Trapianti Marche in 13 anni di attività. Oltre 500 le persone salvate grazie al trapianto di fegato, un intervento salva vita, come spiega il direttore degli Ospedali Riuniti di Ancona Michele Caporossi, e altrettante sono quelle che hanno visto migliorare nettamente la loro qualità di vita in seguito al trapianto di reni, grazie al quale non hanno più bisogno della dialisi. «Nelle Marche ci sono più trapiantati di reni che dializzati- sottolinea il direttore generale – questo significa più salute e un risparmio economico di decine di milioni di euro».

Un importante traguardo, quello dei mille trapianti, che segna un grande lavoro di squadra e il cui segreto, come spiega la coordinatrice del Centro Regionale, la dottoressa Francesca De Pace, risiede «nell’abnegazione del personale medico e infermieristico delle rianimazioni, del blocco operatorio, i quali lavorano anche oltre i propri turni di lavoro per consentire il prelievo degli organi dai donatori». «Il personale di sala è preparatissimo», spiega la dottoressa De Pace, merito di una rete che funziona molto bene nelle Marche e dei frequenti corsi di formazione, circa 14 l’anno, che vengono svolti su tutto il territorio regionale».

Nelle Marche il numero di donatori segnalati è in crescita e nell’ultimo anno è arrivato a 62,42 per milione di popolazione, dei quali 40,57 sono quelli procurati, ovvero che acconsentono e 32 quelli effettivamente utilizzati, dopo essere stati accuratamente selezionati per escludere infezioni, neoplasie e altre patologie trasmissibili con il trapianto. «Abbiamo fatto miracoli – sottolinea Francesca De Pace – è un numero altissimo che riflette il grande lavoro svolto dai medici anche a livello periferico». Per quanto riguarda le opposizioni (quando la famiglia del potenziale donatore non dà il consenso all’espianto, ndr) nell’ultimo report, al 31 ottobre 2018, si attestano al 28%, «un dato in linea con la media nazionale – evidenzia la coordinatrice –  e che deve tenere conto del fatto che più donatori si segnalano e più possono crescere le opposizioni. In ogni caso siamo secondi in Italia, anche se potremmo fare di più. Con più personale a disposizione e più risorse potremmo realizzare la donazione a cuore fermo».

Una rete capillare di medici che si dirama su tutto il territorio regionale e che ha reso possibile salvare 1000 vite: a Pesaro il dottor Francesco Mazzanti, a Urbino il dottor Marco Marini, a Fano la dottoressa Maria Cristina Fabi, a Fermo il dottor Alberto Viozzi, a Jesi il dottor Marco Straccali, a Senigallia il dottor Andrea Ansuini, a Fabriano la dottoressa Tiziana Karer, a Macerata il dottor Gianrenato Riccioni, a Civitanova la dottoressa Anna Monaco, a Camerino la dottoressa Tiziana Ciccola, a San Benedetto del Tronto il dottor Umberto Baldini, ad Ascoli Piceno la dottoressa Maria Teresa Claser e ad Ancona la dottoressa Francesca De Pace. Tutto il coordinamento dell’attività di donazione e trapianto viene gestita dal coordinatore regionale, la dottoressa Francesca De Pace, e da infermieri esperti: Antonella Recchioni, Katia Cacciani, Fabio Montagnoli, Libera Lombardi e Michele Martino.

Dottoressa De Pace, i trapianti salvano la vita, un obiettivo importante quello che avete raggiunto…
«Questo traguardo è stato raggiunto grazie alla collaborazione di tutti, ma anche grazie ad un grande atto di generosità da parte delle famiglie, delle associazioni di volontariato che si spendono moltissimo per la donazione e dei medici rianimatori, che anche senza avere tempo dedicato per questa attività, nonostante sia un obbligo previsto dal Sistema Sanitario Nazionale, la svolgono oltre il proprio orario».

Pregiudizi e timori di diverso genere si accompagnano spesso al momento della donazione, creando difficoltà. Molti temono di “staccare la spina” ai propri congiunti nel desiderio che questi possano risvegliarsi….
«Ci sono stati molti progressi su questo punto. Si è instaurata una buona comunicazione tra famiglie e sanitari, soprattutto da quando spieghiamo che c’è una legge dello Stato che fissa criteri ben precisi per l’accertamento della morte: al termine delle 6 ore di osservazione le macchine vengono spente perché la persona ormai è morta, sia che venga fatta la donazione sia che questa non venga fatta. I medici contribuiscono a fugare ogni dubbio sul fatto che la persona deceduta non si possa più riprendere e che quindi vada staccata dal ventilatore».

L’ospedale regionale di Torrette, ad Ancona

A Torrette il numero delle opposizioni è diminuito negli ultimi anni, merito delle campagne di sensibilizzazione o ci sono anche altri fattori che hanno contribuito?
«È stato compiuto un grande lavoro nelle Marche sia da parte degli assessorati alla Salute e all’Istruzione sia da parte dei medici e delle associazioni di volontariato che si spendono per sensibilizzare le famiglie, ma anche grazie alla stampa che in questa azione ci ha sempre sostenuto».

Come si aderisce alla donazione di organi?
«Nelle marche sono 141 i comuni che hanno aderito all’obbligo di legge che prevede la possibilità da parte degli uffici anagrafe di raccogliere la volontà circa la donazione degli organi all’atto del rinnovo della carte d’identità. Complessivamente sono state già raccolte circa 70 mila manifestazioni di volontà. È un diritto e un dovere del cittadino e degli operatori dell’anagrafe, che sono stati formati dal Centro Regionale Trapianti. Un lavoro che ha richiesto quasi quattro anni di attività nel quale la Regione ha collaborato moltissimo».

E i comuni che non hanno ancora aderito?
«Dovranno aderire presto, visto che si tratta di un obbligo previsto dalla Legge».

Negli Usa è una realtà il contatto tra la famiglia del donatore e il soggetto ricevente, pensa sia auspicabile un percorso di questo tipo anche in Italia?
«Noi non possiamo dare informazioni alla famiglia del donatore, anche perché il più delle volte non conosciamo il nome del ricevente. Si tratta di una forma di tutela sia per i donatori che per i riceventi. Però la famiglia del donatore viene informata su dove viene eseguito il trapianto, sull’età e sul sesso del ricevente, per cui se c’è la volontà da ambo le parti è capitato che si siano messi in contatto in maniera autonoma, ma noi in questo non possiamo intervenire in alcun modo. Ritengo che al momento per il grado di maturità della nostra società il non dire rappresenti ancora una forma di tutela, perché alcune persone potrebbero esserne urtate. In ogni caso visto che aderiamo al Nord Italian Trasplant Program, possiamo inoltrare alla famiglia del donatore una lettera di ringraziamento in forma anonima».