ANCONA – C’è ancora una volta la firma del morrovallese Piero Romitelli negli ultimi singoli di Marco Mengoni e di Eros Ramazzotti. Che Romitelli (nato a Civitanova, 36 anni fa) fosse un cantautore di un certo calibro, lo si sa già da qualche anno. Le sue parole sono arrivate sul palco del teatro Ariston di Sanremo nei testi di Loredana Bertè e passano in radio quasi quotidianamente in canzoni di Raf, Il Volo, Francesco Renga e tanti altri.
Partiamo dal festival di Sanremo 2023: ci sarà qualcosa di suo?
«Guardi che un autore scrive sempre, 12 mesi l’anno, mica solo al festival».
Ma spesso la canzone prende forma grazie all’interprete…
«È vero, l’autore rimane talvolta in ombra e ha risalto quando i conduttori del festival leggono il suo nome a Sanremo».
Invece, è la sensibilità degli autori a dare forma a un testo…
«Degli autori e degli interpreti. Le faccio un esempio: Marco Mengoni, Eros Ramazzotti e Raf danno spesso il loro contributo nei pezzi».
Ha collaborato al nuovo singolo di Marco Mengoni, Chiedimi come sto. Il testo recita: «A volte l’arte di caderе è un’attitudine/Riusciremo a difenderci dalla gente/Che non sa vedere oltre le apparenze».
«Sì, beh, l’arte di cadere è davvero un’attitudine. Tutti noi cadiamo mille volte durante la nostra esistenza. Eppure, nonostante gli acciacchi, ci ritroviamo in piedi. Eccola, l’arte di cadere. Invece, la frase della gente non serve spiegarla: la gente spesso è miope e guarda solo il primo strato, non va a fondo».
Cosa mi dice di questi versi? «Ma so che la paura è come il mare/Nel deserto del Mojave/Rimanevo in bilico sulla mia fantasia/Schivavo gli ostacoli della monotonia/E non c’è più niente da fare/ Se quando corro chiudono le strade […] Mi costringeranno a rallentare».
«Che abbiamo meno paura se c’è qualcuno al nostro fianco. E tutti noi abbiamo bisogno di qualcuno con cui far scomparire le nostre paure. Io, nel mio piccolo, lo vedo con la mia compagna e con le mie due figlie. Quando siamo insieme è diverso».
Di Mengoni è da poco uscito l’album Materia pelle. E per lui è la prima volta che cura gli arrangiamenti…
«Sì, esatto».
La ricetta per la canzone perfetta?
«Credo che la canzone debba essere vera. Non mi piacciono quelle studiate a tavolino. La ricetta per il testo perfetto? Se la avessi, sarei Mogol. Invece, sono Piero Romitelli».
Che abita a Morrovalle…
«Sì, ho deciso di rimanere qui. Vorrei che le mie figlie crescessero in questa terra pura».
Ma dal punto di vista lavorativo, forse, le Marche offrono meno rispetto ad altre realtà. Insomma, Milano è il centro della discografia, non crede?
«Sì, la condizione della nostra terra la conosciamo. Ma sono scelte e io ho scelto la qualità della vita superiore, rispetto al guadagno. Lo so, è una scelta coraggiosa».
E le sue figlie?
«Non pretendo che vivano qua per sempre, ma saranno loro a decidere».
Parliamo di scelte. Se lei non avesse fatto prima Amici e poi Sanremo, forse non sarebbe arrivato fino a qui.
«È vero, magari mi sarei iscritto all’università e sarei da tutt’altra parte. E invece eccomi qua».
Ci crede nel destino?
«Sì. Guardi, io sono un tipo riflessivo e ci penso spesso a questa cosa che dice lei. Certi giorni sono come dei momenti simbolo per la nostra vita. Alcune scelte che fai nel giro di pochi minuti sono in grado di cambiarti l’intera esistenza. E a me è successo».
Avrebbe mai immaginato che il Piero bambino avrebbe scritto per i monumenti della musica italiana?
«Mai».
Si chiamano «Gli ultimi romantici», «Nessuno a parte noi» e «Ti dedico» i pezzi a cui ha collaborato per Eros Ramazzotti (insieme a Colavecchio, Munda e Pulli)…
«Sì, un lavoro che è iniziato in pandemia. Ci vedevamo su Skype ed Eros ci dava degli spunti, anche a livello di melodia».
La canzone che avrebbe sempre voluto scrivere?
«Eh, ce ne sono tantissime. Io sono cresciuto con Dalla, De Gregori, Ramazzotti. Così su due piedi non saprei».
Faccia uno sforzo…
«Your song, di Elthon John».
Lei dice di essere cresciuto con gli artisti con cui ora collabora. I suoi genitori che dicono?
«Li ho abituati fin troppo bene, ora non ci fanno più nemmeno caso. Scherzi a parte, credo che non gasare i propri figli è la cosa migliore che si possa fare. Loro ormai non si meravigliano più, ma sono felici. È che magari non lo dimostrano».
Mengoni, il 16 ottobre, è in concerto a Pesaro. Mi parli di lui…
«Con Marco ho un rapporto artistico e di stima: per me, lui è diverso dagli altri artisti con cui ho collaborato, per una questione di esordi. Ho iniziato a fare l’autore con lui 10 anni fa, c’è un affetto particolare per lui. Non me ne accorgo è stata la prima volta che ho sentito delle parole mie in radio o in uno stadio. A Marco lego tante mie prime volte, troppe».
E ha collaborato con lui anche in “Muhammad Alì”
«Vedo che è quasi più informato di me (ride, ndr)».
È deformazione professionale…
«Comunque, sì, questa è la mia terza volta con Marco. Tutti momenti diversi, tre brani completamente diversi».
Posso dire che Il sole ad est, scritta per Alberto Urso, è molto bella?
«La ringrazio. Però, è stata un po’ sottovalutata».
È anche diversa dalle altre…
«Beh, sa che ha ragione? Ha colto un dettaglio particolare. E cioè che nel tempo sono cambiato. In 18 anni, è normale, eh, ma poi da tre anni i testi che scrivo hanno risentito della mia paternità».
Si spieghi…
«Prima scrivevo prevalentemente di notte. Adesso che sono padre faccio una vita più regolare e scrivo di giorno. Il sole ad est l’ho iniziata sul Golfo di Sorrento e terminata a Morrovalle, con una vista pazzesca».
Cerca l’ispirazione?
«No, quella arriva da sola. Io devo solo essere bravo a coglierla».