Ancona-Osimo

Morte di Moise, la sorella scrive alle Iene: «Indagini carenti perché siamo stranieri, aiutateci»

Kady Tagoma si è rivolta alla trasmissione dopo la scomparsa del 25enne, avvenuta il 29 aprile scorso, stroncato da una dose letale di metadone. I familiari sospettano soccorsi tardivi

Moise Tagoma

JESI – Sette mesi fa ha perso il fratello, morto per una dose letale di metadone. Indagato solo il ragazzo che gli avrebbe fornito il liquido. Per i familiari però bisognerebbe scavare oltre. Anche sulle persone che vivevano nella stessa casa di Moise, i coinquilini, che hanno dato l’allarme solo alla sera, nonostante il ragazzo stava male già dalle 10 di mattina. Ora la sorella della vittima si è rivolta alle Iene perché teme che non si sia fatto abbastanza per il 25enne, di origine congolese, solo perché straniero. 

«Buongiorno, sono Kady Tagoma, una ragazza di Maiolati Spontini. 

Il 29 aprile 2020 è morto mio fratello Moise a soli 25 anni e chiediamo il vostro aiuto per avere giustizia»: inizia così la lettera di richiesta di aiuto dei familiari che non si rassegnano alla perdita del ragazzo, almeno fino a quando non ci sarà giustizia. 

«Siamo scioccati da tutto quello che ci è successo e da come procedono le indagini – scrive Kady -, le prove ci sono ma ancora niente. Se non fosse per l’impegno nostro e del nostro avvocato nessuno si sarebbe interessato.

Allora la domanda è: tutto questo è perché siamo stranieri? Perché usufruendo del gratuito patrocinio non siamo nello stesso posto delle persone che invece riescono a  pagare di proprio tasca le loro spese? Per questo motivo ancora oggi nel 2020 noi non possiamo avere giustizia per mio fratello?».

L’avvocato che segue la famiglia è Roberta Strampelli: «L’autopsia fatta fare dalla procura – spiega il legale – non ha chiarito l’orario della morte, quello dell’assunzione del metadone e nemmeno le modalità di assunzione. Per questo con la famiglia riteniamo ci siano forti lacune che vanno chiarite». 

La famiglia aveva chiesto ad un medico legale di fare accertamenti sul corpo con una consulenza di parte ma il professionista, usufruendo i familiari del gratuito patrocinio, ha rifiutato. «Neanche alla nostra proposta di pagare la parcella ha cambiato idea – dice la sorella -, comportandosi in maniera gelida senza considerare minimamente che lì presente oltre all’avvocato c’era anche mio fratello Jonathan. Era di nostro fratello che si stava parlando, ma questo non ha fermato lo sprezzo del dottore». Adesso i familiari sono in contatto con un altro medico che ha accettato l’incarico mettendo la questione economica all’ultimo posto.

Moise viene descritto dalla sorella come era un ragazzo allegro, affettuoso, altruista, scherzoso, alla mano, di cuore. Durante la settimana lavorava sempre, ma nel fine settimana gli piaceva passare del tempo con la sua famiglia e come tutti i ragazzi della sua età divertirsi con i suoi amici andare a cena fuori, in discoteca, al cinema. «Ultimamente però le cose erano cambiate – dice la sorella – non lavorando più perché come molti di noi ormai disoccupati per colpa di questa crisi che dura da anni in Italia, passava le sue giornate in giro per la città pur di non restare a casa e pensare che non era più in grado di supportare economicamente la sua famiglia. Quando avevi un problema, potevi essere sicuro che il tuo problema diventava il suo, pur di poterti aiutare. Quando litigavi con lui era sempre il primo a voler far pace, non riusciva ad essere in collera con te. Questo era mio fratello: un ragazzo buono, ma soprattutto con tanta voglia di vivere, e sicuramente quella sera del 29 aprile lui non voleva morire».

Moise era ospite – insieme a altre tre persone – a casa di un cugino, in un appartamento di Jesi. Alle 21 del 29 aprile è arrivata una telefonata in casa della sorella, era una parente della Francia, che chiedeva se era vero che Moise era morto e per quale motivo non le avevamo detto niente. In casa nessuno, a Jesi, aveva ancora avvertito della morte di Moise appresa poi solo andando sul posto e trovando i carabinieri e l’ambulanza. 

«Lo scenario era indescrivibile, i ragazzi erano sotto l’effetto di qualche sostanza e non ci capivano niente – dice la sorella -. Mi ricordo bene le parole dei carabinieri e del 118 che ci dicevano: “sicuramente se ci avessero chiamato prima si sarebbe salvato”. Carabinieri, ambulanza e gli addetti delle pompe funebri se ne andarono, lasciandoci lì da soli insieme a quei ragazzi, senza neanche mettere sotto sequestro la casa per indagini, anzi permettendo ad alcuni di loro di poterci vivere liberamente per i mesi seguenti. Successivamente verso i primi di maggio è stata fatta l’autopsia ordinata dalla procura. L’esito ha stabilito che Moise è morto per aver assunto una dose letale di metadone. Quelli che dovevano essere suoi amici hanno perso tempo improvvisando massaggi cardiaci e tirandogli dell’acqua addosso invece di allertare i soccorsi che l’avrebbero salvato». I ragazzi sono stati ascoltati dai carabinieri e avrebbero cambiato le dinamiche dei fatti più volte.