ANCONA – Scuola, università, didattica a distanza (dad) e relazioni sociali: aumenta l’ansia esistenziale. Come stanno, davvero, i nostri giovani? Lo abbiamo chiesto al pedagogista formatore Filippo Sabattini, dell’impresa sociale Wega, di Pesaro.
Sabattini si sofferma, in particolare, sugli alunni delle scuole superiori: «Sono gli adolescenti ad aver pagato più di altri per gli effetti della didattica a distanza – dice -. Dopo il lungo periodo di dad, emerge nei giovani un processo di analfabetizzazione emozionale, di demotivazione rispetto all’interesse. Un aspetto motivazionale che viene meno, dunque. Quando non si va a scuola si riduce l’aspetto relazionale e di confronto. E questo, come conseguenza, provoca l’aumento di diverse sintomatologie, come l’ansia scolastica. Tanti i ragazzi che, dopo la dad, faticano a riprendere il percorso scolastico con motivazione. E c’è persino chi ha paura, ad esempio, di affrontare un’interrogazione» spiega il pedagogista.
«So di adolescenti profittevoli che all’idea di tornare in aula hanno una sorta di fobia. Questo accade perché in parte l’esperienza di dad riattiva una zona di comfort: stando nella propria stanza, davanti al pc, alcuni si sentivano più sicuri, anche se maggiormente frustrati». Spiega meglio: «I ragazzi mi dicevano queste parole: “Mi manca la scuola, ma preferisco la dad, perché non ho lo sguardo diretto degli insegnanti e posso sbirciare sul libro“».
A ciò, si aggiunge quella che Sabattini definisce «esposizione agli stimoli. Se per lungo tempo – la dad non è stata roba da 10 giorni – l’alunno non si espone all’essere chiamato alla lavagna, si disabitua ad affrontare uno stimolo negativo e il corpo non è più abituato a regolare stress e ansia». Così, la scuola diventa una novità. «E la novità genera stress e ansia. Il corpo dell’adolescente, da fermo, non scarica e produce più tensione. Ci si disabitua ad affrontare la difficoltà».
Gli attuali adolescenti avranno lacune nel mondo del lavoro o all’università? «È presto per dirlo, non abbiamo ancora dati certi. Mi guardo bene dal prendere una posizione ideologica e dall’additare la generazione covid. Parliamoci chiaro, – continua Sabattini – la dad è stata una necessità e nel tempo si è evoluta. Le lezioni frontali virtuali hanno lasciato il posto, per fortuna, alle lezioni rovesciate».
Ma c’è sicuramente una questione da analizzare: «Al di là di ciò che rileveranno gli studi pedagogici e psicologici, i ragazzi – questo è certo – hanno la sensazione di essere carenti. Un ragazzo di 4° superiore comincia a chiedersi se mai supererà l’esame di maturità. Loro stessi hanno la percezione di essere stati limitati nel processo di apprendimento. Non sappiamo se la percezione sarà poi oggettiva, dovremmo aspettare i futuri test di ingresso all’università. Ma i ragazzi hanno un senso di inadeguatezza sui loro apprendimenti, anche perché sostengono di non riuscire a compensare in altro modo, non essendo stimolati dal mondo esterno e riducendo il confronto.
Molti, prima, dicevano “non vediamo l’ora che arrivi il weekend”. Ora molti dicono “non vediamo l’ora che sia lunedì per tornare a scuola”. Questo perché gli ambiti di socializzazione si sono ridotti: pensano di aver perso qualcosa. Però, va detto che il cervello dell’adolescente è plastico, quindi forse poi potrebbero trovare risorse per affrontarle, quelle le difficoltà future».
Le scuole – per Sabattini – vanno tenute il più possibile aperte, soprattutto le superiori. E anche le relazioni. Il consiglio del pedagogista per i ragazzi è infatti «tenere aperti i rapporti e non assecondare quella spinta all’evitamento dell’altro o alla chiusura». Poi, Sabattini si rivolge direttamente a loro, ai ragazzi adolescenti, ai preadolescenti, ma anche agli universitari: «Se non potete vedere i vostri compagni dal vivo, in aula, perché magari qualcuno è a casa col covid, allora fatevi sentire in videochiamata».
Paradossalmente, infatti, «la dad in questo aiuta, poiché ci tiene collegati. E soprattutto, se non sapete cosa fare – prosegue – se in dad vi annoiate, riprendete in mano le vostre passioni, anche se apparentemente non sono utili per il vostro percorso scolastico o di vita. Se, ad esempio, da piccolo suonavi il violino, prendilo di nuovo in mano. Da bambina ti piaceva suonare la chitarra? Ricomincia a suonarla».
«Così – conclude Sabattini – si permette di tenere in uno stato vitale il cervello emotivo e creativo. In questo modo, si tenta di non scivolare nella depressione, nell’apatia e non ci si ritira in quello stato di evitamento sociale tipico degli hikikomori. Bene pure le attività che hanno a che fare con le mani, ok il cinema. Insomma, l’importante è che teniate sempre vivo il desiderio!».