ANCONA – Continua a tenere banco la proposta di riforma del premierato. La maggioranza è al lavoro per limare il testo, fra le critiche dell’opposizione e i commenti di esperti e giuristi. Oggi (2 giugno), Festa della Repubblica, abbiamo parlato con il professor Giulio Maria Salerno, costituzionalista, a cui abbiamo chiesto di riflettere su luci e ombre del premierato sulla nostra Costituzione.
Testo, quello previsto dalla Costituzione, per cui si iniziò a lavorare proprio all’indomani del referendum istituzionale del 2 giugno 1946. «Se la Costituzione rischi col premierato? Bella domanda» – risponde il prof Salerno, Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico al Dipartimento di Economia e diritto dell’Università di Macerata, ove attualmente è il Coordinatore del ˊCentro di Studi Costituzionaliˊ.
Professor Salerno, la riforma potrebbe cambiare la nostra forma di governo?
«Sì, in modo sostanziale. E questo è chiaro. Secondo me, la riforma ha bisogno di una serie di correttivi che assicurino un riequilibrio tra i poteri dello Stato e in particolare un riequilibrio nei confronti del Parlamento e del Capo dello Stato».
Il Presidente della Repubblica ne esce depotenziato?
«Al Capo dello Stato viene fortemente circoscritto il potere di nomina del Presidente del Consiglio, che attualmente è un potere rientrante nella piena discrezionalità del Capo dello Stato e che deve esercitarlo al fine di assicurare un governo al Paese. Il Capo dello Stato ha usato questo potere con grande ampiezza di discrezionalità, anche perché la Costituzione italiana non prevede alcuna forma di razionalizzazione di questo potere, così come previsto in altre Costituzioni. La norma costituzionale è scarna e non indica condizioni alcune per l’esercizio del potere. Chiaro è che non si è mai arrivati a una nomina di un premier contro la volontà delle forze politiche che si trovano nella maggioranza del Parlamento».
Le ricordo i governi Monti, Draghi e Conte…
«Certo, ci sono state scelte che non si sono fondate su un preventivo confronto all’interno del corpo elettorale, come la scelta di Monti, di Draghi, o la scelta (in parte) di Conte. Sono state scelte consentite dalla Costituzione che erano però estranee a un precedente confronto in sede elettorale. E questa estrema larghezza è stata causa della sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni rappresentative. Gli elettori hanno visto nominati Presidenti del Consiglio estranei al dibattito politico che si era svolto in sede elettorale».
Cos’è il Premierato?
«Una riforma che risponde a una esigenza di ripristinare un meccanismo di coerenza tra la volontà espressa dal popolo in sede elettorale e la formazione del Governo. Da noi, si è arrivati all’eccesso opposto che ha favorito il trasformismo dei parlamentari, la costituzione di partiti e di forze politiche dopo le elezioni e fenomeni deprecabili. Tuttavia, al contempo, la riforma produce una condizione di forte concentrazione di poteri nelle mani del Governo, perché la nostra Costituzione è andata svolgendosi in modo da arricchire fortemente i poteri dell’Esecutivo a svantaggio del Parlamento».
Si riferisce ai dpcm?
«Non solo. Esistono i decreti legge, di cui si è fatto un forte abuso ed esiste una procedura di conversione dei decreti legge che consente al governo la prassi dei maxi emendamenti e che consentono al governo – insieme con la questione di fiducia – di imporre la sua volontà al Parlamento. E poi sì, esiste la prassi deprecabile dei dpcm (i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, ndr) che abbiamo visto durante la pandemia. Bisogna intervenire su tutti questi aspetti».
Prosegua…
«Ci sono poteri di garanzia assegnati al Capo dello Stato che non potranno più essere sottoposti alla controfirma del Governo, altrimenti diventerebbero atti sostanzialmente governativi. Nell’ultima versione di proposta di riforma, si prevedono atti presidenziali sottratti alla controfirma del Governo e questo, a mio avviso, è molto giusto. Ma bisognerebbe accentuare i poteri di garanzia del Capo dello Stato».
E il Parlamento ne uscirebbe fiacco?
«Per come si trova oggi, sarebbe necessariamente sottoposto alla volontà del Governo. Ci sarebbe netta prevalenza della volontà dell’Esecutivo a fronte di una maggiore stabilità. È chiaro che la stabilità del Governo potrà sempre essere messa in crisi dalla instabilità tra le forze politiche che lo sostengono. Noi abbiamo l’esperienza soprattutto del modello regionale, che è assimilabile (in parte) a quello che si vuole creare a livello parlamentare. E l’esperienza regionale dimostra la totale prevalenza degli esecutivi regionali rispetto ai Consigli regionali. Sarà poi molto importante il contenuto della legge elettorale, che sarà decisiva. L’idea, per ora, è quella di non stabilire nella Costituzione i principi di funzionamento della legge elettorale ma solo il principio generale di garantire alle forze politiche che sostengono il premier eletto una maggioranza di seggi in entrambe le Camere. Ma non è stato scritto quale maggioranza e con quale meccanismo raggiungerla. Di leggi elettorali ce ne sono diverse, quella a un turno, a due turni e poi le clausole per il ballottaggio. Meccanismi di rilievo».
Secondo lei passerà?
«Non possiamo prevedere il futuro, ma al momento è sicuramente uno snodo importante, al pari dell’attuazione dell’autonomia differenziata».