ANCONA – La presenza di ematite sulla luna e le tracce di fosfina trovate su Venere sono due scoperte recenti che hanno interrogato il mondo della scienza. Cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta con Davide Ballerini, presidente dell’Associazione Marchigiana Astrofili e direttore dell’osservatorio di Pietralacroce.
La luna si sta arrugginendo. Sulla superficie lunare c’è ematite, un ossido di ferro. Come è possibile in assenza di acqua liquida e ossigeno?
«Grazie allo “Moon Mineralogy Mapper”, lo spettrometro Nasa a bordo dell’orbiter lunare Chandrayaan-1, della missione lunare indiana, si è riusciti a rilevare la traccia dell’ematite, quel composto conosciuto come ruggine, che è il risultato di un processo ossidante che interessa l’elemento chimico del ferro, quando esposto all’ossigeno e all’acqua – spiega Ballerini -. Ora, visto che stiamo parlando della luna, dove non abbiamo atmosfera e acqua allo stato liquido, ci rimane difficile comprendere come possa formarsi questa ematite, che troviamo, tra l’altro, concentrata nella parte rivolta verso la Terra, soprattutto ai poli. Ma non solo, a complicare le cose vi è un altro aspetto, ovvero che il nostro satellite viene costantemente bombardato dal vento solare, ricco d’ idrogeno, che avrebbe un effetto contrastante alla formazione dell’ematite. Un vero rompicapo per la scienza. Gli stessi ricercatori del team hanno però dato una spiegazione plausibile a questo fenomeno. Per l’elemento acqua in questo processo troviamo un valido sostituto con l’ossidrile (OH), che sulla luna viene prodotto con gli impatti di corpi meteoritici con la superficie, fenomeno molto frequente qui, grazie all’assenza di un’atmosfera che ne possa contenere e limitare gli effetti, come, invece, avviene sulla Terra. Nella collisione si sprigionerebbero dapprima queste molecole, che sono legate ai minerali lunari, per poi a loro volta reagire con il ferro ferroso presente nelle rocce e formare ossidi di ferro, allo stesso modo dell’acqua (H2O). Un fenomeno, questo, già riprodotto in laboratorio, grazie ai campioni lunari che le missioni Apollo ci hanno portato sulla Terra. Nel processo poi interviene anche l’ossigeno, che in questo caso ha una provenienza esterna. Ecco quindi come si può spiegare l’esistenza dell’ematite sulla superficie lunare».
La responsabilità sarebbe della Terra? Perché?
«Per quanto riguarda l’ossigeno qui entra in gioco la nostra Terra. Infatti questo elemento viene fornito alla luna con un meccanismo che ha come protagonista la nostra magnetosfera, ovvero il campo magnetico terrestre, generato, come ben sappiamo dalla parte fluida del nostro nucleo in continuo movimento. Ebbene il vento solare che agisce sulla nostra bolla magnetica la deforma a tal punto da creare una sorta di coda sulla quale l’ossigeno riesce a viaggiare fino a raggiungere la luna, naturalmente quando si trova nel periodo di plenilunio. Un fenomeno, questo, ben documentato da una sonda giapponese, la “Selene” nel 2007 che ha studiato i flussi di ossigeno nell’alta atmosfera terrestre. E questo spiega anche l’abbondanza di ematite riscontrata ai poli nel lato rivolto alla Terra (tenendo conto che la luna mostra sempre la stessa faccia al nostro pianeta). E sempre al campo magnetico terrestre viene attribuito il ruolo di inibire quell’effetto contrastante alla formazione dell’ematite, dovuto al trasporto di idrogeno da parte del vento solare; il nostro scudo magnetico, in pratica, svolge la funzione di barriera a questo flusso antagonista».
Su Venere, pianeta inospitale, sono stati trovati segnali di vita, tracce di fosfina. Cosa ne pensa?
«Venere è un pianeta molto interessante e pieno di sorprese, e nessuno si sarebbe mai aspettato di trovare proprio qui, in un ambiente così inospitale alla vita, le tracce di potenziali microrganismi attivi. Su Venere abbiamo condizioni in cui persistono sulla superficie pressioni dell’ordine delle 90 atmosfere (la pressione che troviamo a circa 900 metri di profondità degli oceani) e temperature che si aggirano ai 450 gradi. Abbiamo nubi stratificate fino alla quota di 70 km dalla superficie, composte principalmente di anidride carbonica e di acido solforico, quest’ultimo allo stato liquido nella pare alta e gassoso a quote più basse, che causano un efficientissimo effetto serra. Nonostante ciò due analisi fatte sulle nubi venusiane, con due metodi e strumenti diversi, hanno dato lo stesso risultato inaspettato: la presenza della fosfina. Questa molecola, composta da un atomo di fosforo e tre di idrogeno, per intenderci, è stata etichettata dalla comunità scientifica degli astrobiologi, come “biomarcatore” per la ricerca di vita extraterrestre. Ovvero, proprio per la sua caratteristica di essere prodotta in due soli modi, industrialmente, qui sulla Terra nei laboratori (nella produzione di particolari pesticidi), o come residuo di un attività biologica di microrganismi anaerobici (microbi che vivono in assenza di ossigeno) ben noti, che assimilano fosforo dai minerali e lo sintetizzano con l’idrogeno, sono la traccia univoca della presenza di una forma di vita di tipo batterico».
Ci troviamo quindi di fronte ad una scoperta epocale?
«Sì, così l’ha definita la comunità scientifica. Fino ad ora su vari corpi del nostro sistema solare abbiamo già trovato tracce di composti organici ed elementi legati a potenziali forme di vita, ma che non ne rappresentano una prova concreta. Ora, invece, ci imbattiamo in qualcosa di cui facciamo fatica a trovare spiegazioni alternative, a meno che non ci sfugga qualcosa della chimica che conosciamo, cosa che, da addetto ai lavori, trovo alquanto improbabile. A questo punto ci aspettiamo presto una missione scientifica che si rechi sul posto, con la dovuta strumentazione, per poter rilevare direttamente questi nostri vicini di casa, come normalmente accade per queste scoperte così importanti».