ANCONA- Il 2018 non è iniziato nel migliore dei modi per i consumatori. Dal 1° gennaio sono aumentate le tariffe di luce, gas, autostrada, trasporto pubblico, assicurazioni e servizi bancari. Per non parlare poi della polemica sui sacchetti biodegradabili a pagamento nei supermercati. In pratica, per imbustare frutta e verdura non confezionate e per i prodotti di gastronomia, macelleria, pescheria e panetteria presi ai banchi, devono essere utilizzati sacchetti bio che saranno pagati alle casse proprio come le buste per trasportare la spesa. Non è ancora chiaro il costo dei nuovi sacchetti ecologici, probabilmente sarà di circa 2 centesimi.
L’Italia si adegua alla direttiva Ue del 2015 che ha l’obiettivo di ridurre l’uso delle inquinanti buste di plastica, ma intanto sui social network impazzano modi per raggirare il pagamento delle buste biodegradabili. Insomma, una bella stangata per le famiglie italiane che nel 2018 si troveranno a pagare circa 1.000 euro in più rispetto al 2017. Nonostante i rincari, la notizia che ha creato più scompiglio sono i sacchetti bio a pagamento.
«Il consumatore è in un vicolo cieco e deve accettare quello che la legge impone. La norma è criticabile sotto diversi aspetti: l’intento positivo di sensibilizzare il consumatore sul problema della plastica viene attuato con un metodo burocratico che infastidisce il cittadino e concentra l’attenzione sulla protesta. Viene vissuto come ulteriore tassa- spiega Gianni Santori, presidente Federconsumatori Marche-. I sacchetti li abbiamo sempre pagati ma il loro costo era compreso nei costi di gestione del supermercato. L’intento della norma è sicuramente educativo: la plastica sta distruggendo l’ambiente per cui occorre una maggiore sensibilità ambientale. Ma concentrarsi sui sacchetti della frutta quando tutto il mondo incarta gli oggetti che si producono con la plastica è ridicolo.
Ora c’è la rincorsa a precisare le norme. Il Ministero della Sanità ha specificato che si possono portare i sacchetti bio da casa purché siano monouso, quindi, in pratica, bisogna comprarli identici a quelli del supermercato. Inoltre, i consumatori si cominciano ad ingegnare su come aggirare questa norma ad esempio, portandosi da casa la rete pluriuso, quella che un tempo usavano le nonne per intenderci. I consumatori sono arrabbiati. Ci chiedono se lo devono fare. La risposta è sì, c’è la legge. Noi testimoniamo ampiamente l’arrabbiatura dell’utente che è indispettito. Questa dei sacchetti si aggiunge al rincaro delle bollette dal primo gennaio. In Italia siamo lontani da una normativa che protegga il consumatore dagli abusi. Il consumatore non si sente tutelato dallo Stato».
«Noi non siamo contrari all’obbligo dell’utilizzo dei sacchetti biodegradabili ma le modalità dovevano essere diverse. L’onere doveva ricadere sui costi di esercizio della distribuzione e non direttamente sui cittadini – afferma Francesco Varagona, presidente Adiconsum Marche-. L’idea di utilizzare materiale ecosostenibile è corretta però mettendo le etichette sui sacchetti non sono più utilizzabili per l’umido. Quindi l’obiettivo della sostenibilità ambientale in parte viene meno. Si fa la norma, si addossa il peso ai cittadini e il fine che si vuole raggiungere rischia di essere vanificato.
In questo 2018 gli aumenti più significativi riguardano il trasporto pubblico locale, riceviamo molte telefonate da parte di pendolari preoccupati per i rincari che iniziano a pesare in maniera consistente. I consumatori sono critici rispetto a questa situazione che non sembrano trovare giustificazione. Gli aumenti vanno ad appesantire il cittadino e costituiscono un freno alla crescita, al consumo. Diminuisce il potere di acquisto delle famiglie».
Per Gabriele Di Ferdinando, responsabile Turismo Commercio e Agroalimentare Cna Marche: «Si tratta di un nuovo balzello, pur modesto, che graverà sui consumatori e complicherà la vita alle imprese del settore, che nello scontrino fiscale devono far riportare la cessione del sacchetto biodegradabile e indicarlo separatamente nel registro corrispettivi. Parte del ricavo dalla vendita dei sacchetti a pagamento, sarà poi girato alle casse dello Stato dagli esercenti sotto forma di Iva e imposta sul reddito. È giusto aumentare la consapevolezza dei cittadini sugli impatti che la plastica ha sull’ambiente. Ma non si possono scaricare sempre i costi sui consumatori e sulle imprese della distribuzione. Anche perché ci concentriamo sui micro sacchetti e continuiamo a convivere allegramente con milioni di bottiglie di plastica difficili da smaltire senza che nessuno faccia o dica qualcosa per risolvere il problema».
E aggiunge: «È un errore sanzionare allo stesso modo chi commercializza sacchetti non conformi e chi non fa pagare il sacchetto al consumatore. Il primo comportamento, ai fini della tutela ambientale, è molto più grave e merita sanzioni più pesanti rispetto a chi non registra sullo scontrino il costo del bio shopper. Su questo la Cna aveva proposto un emendamento per alleggerire la sanzione, che riproporremo al nuovo Parlamento».