ANCONA – Il NAD (nicotinammide adenina dinucleotide) è una molecola necessaria per la sopravvivenza di tutte le cellule. Nell’uomo viene prodotto a partire da semplici nutrienti (vitamine e amminoacidi) attraverso delle sequenze di reazioni (vie metaboliche) la cui velocità è controllata da particolari proteine, chiamate enzimi. Sia l’invecchiamento che particolari stati patologici determinano diminuzioni localizzate di NAD e conseguentemente aumentano il fabbisogno della molecola. Purtroppo né l’alimentazione né l’assunzione di per via generale tramite farmaci riesce a ripristinare i livelli fisiologici indispensabili. «Ecco allora che arriva in aiuto la ricerca, in particolare un gruppo di ricercatori che per la prima volta ha scoperto che è possibile aumentare il livello cellulare del NAD andando ad interferire con l’azione dell’enzima che controlla la velocità di una via metabolica che porta alla formazione della molecola. Si tratta di una via che fino ad oggi non era stata esplorata. In pratica, i ricercatori hanno “usato” l’enzima come un bersaglio: hanno cioè modificato la sua capacità di controllare la via al fine di aumentare la produzione del NAD», dicono dall’università.
Il lavoro pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature il 15 novembre 2018 nasce da una collaborazione tra Nadia Raffaelli, Ordinario di Biochimica nel Dipartimento di Scienze Agraria, Alimentari e Ambientali (D3A) della Politecnica delle Marche, da tempo impegnata nello studio degli enzimi che regolano la produzione del NAD nelle cellule, Roberto Pellicciari, a capo della TES Pharma, un’azienda biofarmaceutica di Corciano (Perugia) e Joahn Auwerx, Direttore del Laboratorio di “Integrative and System Physiology” Scuola Politecnica federale di Losanna. «I ricercatori hanno ideato e sintetizzato in laboratorio due molecole chimiche che legandosi all’enzima bersaglio modificano la sua azione con conseguente aumento della velocità di produzione del NAD. La somministrazione di queste molecole a cavie di laboratorio ha aumentato il NAD nel fegato, nel rene e nel cervello e ha determinato una conseguente efficace protezione nei confronti di malattie come la steatosi epatica non alcolica e l’insufficienza renale acuta. Queste molecole rappresentano pertanto ottimi candidati per nuove strategie terapeutiche», spiegano dall’università.
L’articolo https://www.nature.com/articles/s41586-018-0645-6