Ancona-Osimo

“Salviamo la Sanità Pubblica”, il Comitato: «Marche a brandelli. Solo uniti potremmo fare la differenza»

La presidente del Comitato in difesa del servizio sanitario marchigiano, Angela Ciaccafava: «Il Cup non dà risposte e le farmacie stanno prendendo il posto dei distretti La politica ci ascolti»

La protesta della settimana scorsa (foto per gentile concessione del Comitato)
La protesta della settimana scorsa (foto per gentile concessione del Comitato)

«Le persone devono prendere coscienza dei problemi della sanità marchigiana. Insieme potremmo davvero fare la differenza e incidere sulle politiche sanitarie, ma dovremmo avere una voce importante. Che ci sarà solo se riusciremo ad unirci».

A parlare, è Angela Ciaccafava, presidente del Comitato ˊSalviamo la sanità pubblica Marcheˊ. Dopo il volantinaggio della scorsa settimana davanti l’ospedale regionale di Torrette, ad Ancona, il Comitato interverrà nel convegno dal titolo «Contro il mercato della salute», previsto a Villarey (sede della facoltà di Economia), il 9 ottobre, alle 15.30. Uno dei giorni clou del G7 Salute.

Presidente Ciaccafava, com’è nata l’idea di un Comitato?
«Ci siamo costituiti perché le proteste da parte di persone e cittadini ci sono, ma nascono e muoiono nello stesso momento. Chi incontra problemi – e mi creda ne riscontriamo quasi tutti – si lamenta ma poi finisce lì. Nel contesto di una prenotazione di una visita specialistica o di prestazioni diagnostiche, ad esempio, ci si lamenta perché al Cup c’è il problema delle liste di attesa».

Com’è cambiato negli anni questo problema?
«Prima ti dicevano ˊle agende non sono ancora aperte per il mese prossimoˊ. Ora, invece, ti dicono ˊnon c’è postoˊ, che è ancora peggio».

In che senso?
«Nel senso che non hai speranza di vedere evasa la tua richiesta. C’è il vuoto, non c’è posto, è drastico. Siamo nati per fare da catalizzatore, per raccogliere le proteste e trasformare le nostre necessità in qualcosa di collettivo. La coscienza collettiva non c’è più, ha lasciato spazio all’individualismo che permea soprattutto il settore sociale. Le politiche sanitarie, al contrario, dovrebbero basarsi sui pareri e le richieste delle persone».  

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Quali i maggiori disagi nella sanità?
«C’è una privatizzazione strisciante fatta in maniera progressiva ma inesorabile che riguarda le strutture territoriali. Che dai politici vengono espresse come forma esemplare, ma che in realtà non ci sono più. I distretti territoriali sono semivuoti: il personale è stato spostato altrove, o è andato in pensione. Capita di trovare degli ambulatori chiusi. Così si creano disservizi importanti. Le Cot (Centrali Operative Territoriali)? Si fanno le cabine di regia ma non ci sono strutture sul territorio, è assurdo».

Prosegua…
«Molti laboratori analisi sono stati privatizzati. Quelli pubblici sono chiusi o malfunzionanti. Anni fa, nel pubblico si pagavano 10 euro di ticket. Ticket che non era previsto nei laboratori privati. Il problema? Quando rimarranno solo i privati, solo alcune fasce di popolazione potranno rivolgersi a loro. E gli altri dovranno rivolgersi a ciò che rimane del settore pubblico, già sbrindellato e malfunzionante. E poi c’è la questione delle farmacie».

Cioè?
«Stanno sostituendo i distretti sanitari: certo, di positivo c’è che la farmacia è sotto casa, ma gli esami te li fa un farmacista che ha frequentato un corso, non un medico. E poi la prevenzione è diventata una spettacolarizzazione. A giorni, ad esempio, ci saranno degli screening in piazza, ad Ancona. E magari ci si sottopone chi non dovrebbe. E chi invece è a rischio resta fuori. Gli screening fatti in modo corretto sono quelli che partono dai medici di medicina generale che individuano tra gli assistiti chi ne ha bisogno. In piazza, invece, fai un colloquio di 15 minuti e poi, se ti diagnosticano qualcosa, devi comunque scontrarti con il problema delle liste d’attesa. Senza parlare dei consultori ormai svuotati di tutte le forme sociali e delle difficoltà che incontrano i disabili. Tutto ciò che dà meno visibilità ai politici viene accantonato. E questo è inaccettabile».

E la soluzione?
«Ci vuole un miracolo».