ANCONA – Il caro gasolio innesca un effetto domino che dalla Spagna arriva fino alle Marche. Con lo sciopero degli autotrasportatori iberici viene meno il ritiro delle merci, in particolare delle vongole nostrane. Infatti per le vongolare il mercato spagnolo rappresenta l’80% della vendita. Il restante rimane per la grande distribuzione locale o per la ristorazione. Dunque senza la parte più consistente del business non vale nemmeno la pena andare in mare.
Effetto a catena
Il rapporto causa-effetto è devastante: dal rincaro dei carburanti parte tutta una catena di conseguenze che investe ogni settore. I primi a risentirne sono stati gli scafi pescherecci, che da subito hanno smesso di lavorare. Ma il caro vita investe anche le famiglie, da cui un forte calo dei consumi. Risultato? I cibi più costosi non si vendono, tra cui i frutti di mare.
«E infatti anche le nostre imbarcazioni escono molto meno» conferma Luciano Sacconi, direttore della Co.pe.mo (Cooperativa Pescatori Molluschicoltori). L’ultimo anello, infine, è quello della ristorazione che rischia di dover ritirare qualche piatto dal menù. Oppure ritoccare i prezzi verso l’alto, appesantendo ancora di più il conto al cliente. «Per il momento stiamo rinunciando ad una serie di prodotti – afferma Annalisa Baldinelli, titolare del Chiosco da Morena in corso Mazzini – tra l’altro da qualche settimana stiamo assistendo ad un calo dei consumi pazzesco». Dunque questo è il riscontro lato ristorazione. Ma a monte il problema sembra piuttosto grave. Infatti c’è anche il rischio di perdere posti di lavoro.
L’occupazione
I proprietari dei pescherecci per ora sono fermi sulle loro convinzioni: «Non sbarchiamo nessuno (che nel gergo vuol dire non licenziare) – afferma Domenico Lepretti, presidente Co.ge.vo – ma se continua così la situazione si dovrà ricorrere alla cassa integrazione in deroga». Per gli allevatori di frutti di mare, invece, ha inciso più di tutti il calo dei consumi. «La cassa integrazione è l’ultima delle soluzioni – assicura il direttore della Co.pe.mo Luciano Sacconi – ma intanto lavoriamo a turni ridotti».
Il caro prezzi
In tutto questo i ristoranti si trovano a dover fare i conti con i rincari dei prezzi delle materie prime. «Le raguse hanno letteralmente raddoppiato il prezzo, passando da 4,50 euro al chilo a 9 euro» racconta Annalisa Baldinelli. «Purtroppo l’aumento del prezzo del packaging ci hanno costretto a rincarare di 20-30 centesimi il prezzo dei nostri prodotti – spiega Sacconi della Co.pe.mo – quindi, ad esempio, un chilo di cozze all’ingrosso arrivano a costare 1,80 euro, mentre le vongole vanno a 3-4 euro al chilo».
«Ci sono dei prodotti di mare che hanno subito dei rincari mostruosi – conferma Raffaele Di Gennaro, titolare del ristorante La Pagodina a Numana – continuando di questo passo bisognerà per forza ritoccare i prezzi in menù». E con l’apertura della stagione alle porte non è proprio il massimo avere sulle spalle il peso di tutta una serie di problemi che investono tutta la filiera: dalla logistica alla somministrazione. «Per ora non c’è un vero e proprio allarme per il reperimento dei prodotti – spiega Di Gennaro – i nostri fornitori di fiducia riescono sempre a consegnarci la merce. Ma sicuramente si presenterà il problema dell’aumento dei prezzi al consumatore. Questo sarà inevitabile».