“La scuola riparte…come?”. Il titolo dell’evento online promosso da Priorità alla Scuola-Comitato di Ancona non lascia spazio a interpretazioni: docenti, psicologi e studenti hanno forti dubbi proprio alla vigilia dell’annunciato ritorno in presenza in classe. I ragazzi non sono pronti a sostenere lo stress ansioso di interrogazioni e verifiche a raffica per compensare i mesi di Dad. Le famiglie sono in difficoltà, perché la pandemia e questo periodo prolungato di isolamento sociale dei figli ha prodotto danni notevoli. I docenti devono riannodare i fili del rapporto tra istituzione scolastica e mondo giovanile. Poi c’è l’aspetto più importante: quello psicologico, legato agli effetti devastanti della pandemia sui giovani che ha determinato un aumento dell’ansia, della depressione, della paura, dei disturbi alimentari e del sonno, calo della concentrazione, paura degli spazi aperti, fino al triplicarsi degli accessi nei pronto soccorso e nelle strutture di Salute mentale, per stati depressivi, ansiosi e tentativi di suicidio. L’interrogazione più importante deve sostenerla la società: siamo pronti a far tornare i nostri ragazzi a scuola?
Lidia Mangani (Priorità alla Scuola Ancona) ha condotto i fili di una discussione lunga e articolata. Al centro, l’intervento dell’epidemiologa Sara Gandini dell’Università di Milano che ha parlato, dati alla mano, dei “Rischi connessi all’apertura e chiusura delle scuole”.
«Le evidenze scientifiche sui rischi connessi alle scuole, dal 14 settembre al 7 dicembre su 7 milioni di studenti e 700.000 insegnanti e personale non docente con un campione iniziale che riguardava il 97% delle scuole italiane ha evidenziato un tasso bassissimo di contagi, pari a meno dell’1% – spiega Sara Gandini – nelle Marche si è registrato lo 0,30% dei contagi tra studenti. Analizzando la situazione della frequenza dei cluster nelle scuole per settimana, nel periodo novembre-dicembre, si è registrata una percentuale del 5-7%. Dai nostri studi è emerso che anche se vengono chiuse le scuole, la curva dei contagi continua ad aumentare: dunque possiamo dire che i contagi sono aumentati per le classi di età 20-59 anni. Sono gli adulti che contribuiscono alla diffusione del virus: infatti l’Oms ha invitato a una revisione sistematica della letteratura scientifica, spingendo a considerare che le scuole debbano essere le prime realtà ad aprire. Dentro alle scuole i cluster sono sempre inferiori all’1% secondo i dati del Ministero della Pubblica Istruzione: sono stati eseguiti diversi screening da cui è emerso che i giovani hanno una biologia molto diversa rispetto agli adulti con meno possibilità di contagio e di trasmissibilità del virus. I contagi sono più bassi anche grazie alle misure di contenimento adottate nelle classi, che però d’altra parte hanno prodotto effetti deleteri: secondo uno studio di coorte sui bambini e adolescenti in Cina e Giappone si è registrato un significativo aumento di ansia, depressione e tentativi di suicidio nella popolazione scolastica nella seconda ondata in corrispondenza con la fine delle chiusure delle scuole. E anche negli Stati Uniti il tasso di depressione/aumento di suicidi si è registrato in bambini tra gli 8 e i 12 anni».
La dottoressa Gandini conclude che «il rischio zero non esiste in nessun luogo, le scuole non sono sicure in assoluto, ma la scuola è uno dei luoghi più sicuri anche grazie ai protocolli vigenti – conclude – e in assenza di prove evidenti dei vantaggi della chiusura delle scuole, il principio di precauzione impone di mantenere le scuole aperte per prevenire danni irreversibili ai bambini e adolescenti, alle donne e alla società intera».
Interessante l’analisi della dottoressa Federica Guercio (psicologa dell’Ordine degli Psicologi delle Marche) la quale ha analizzato le conseguenze psicologiche della chiusura delle scuole su bambini e adolescenti e il ruolo determinante dello psicologo scolastico. «Secondo uno studio del Gaslini di Genova i bambini al di sotto dei 6 anni hanno manifestato irritabilità, aumento della paura del buio, veglia notturna e difficoltà nell’alimentazione – spiega – mentre per gli adolescenti ci troviamo ad affrontare le conseguenze di fattori stressogeni forti, che hanno determinato deconcentrazione, dispersione scolastica, demotivazione allo studio e depressione causati da un impatto lesivo determinato dall’isolamento prolungato nell’ambiente domestico, dall’interruzione dello sport e delle abitudini di vita prolungati nel tempo oltre a una grande incertezza del futuro. Questo ha determinato un aumento del 30% dei suicidi, come emerge da un’analisi condotta dagli specialisti dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma. Ecco perché in questo quadro assume una grande importanza il protocollo siglato tra Miur e Ordine nazionale degli Psicologi per inserire la figura degli psicologi scolastici, validi supporti per studenti, insegnanti e familiari. La nuova scuola deve essere inclusiva – conclude – deve riconsiderare il proprio ruolo formativo-educativo in rete con gli psicologi, superando la priorità della didattica ortodossa rispetto al benessere sociale, psicologico e formativo».
Un’analisi analoga arriva dalla dirigente psichiatra dell’Area vasta2 Marianna Vargas, che ha sottolineato l’importanza dei servizi territoriali per adolescenti e famiglie. «Con la pandemia si sono triplicati gli accessi ai pronto soccorso e alle strutture per sviluppi del comportamento alimentare – dice – e i tentativi suicidari nei ragazzi dai 16 anni è allarmante. Eppure abbiamo un solo neuropsichiatra in tutta l’Area vasta2 (Jesi, Fabriano, Senigallia e Ancona): insufficiente per il ruolo che ha rispetto ai bisogni delle famiglie e dei bambini. I problemi dati dalla pandemia nei ragazzini mettono in crisi anche i genitori, per questo gli specialisti spesso debbono prendersi carico di un intero nucleo familiare». La dottoressa sottolinea che a causa della Dad i ragazzi manifestano un deficit di attenzione, sono peggiorati dal punto di vista della socialità, hanno paura a uscire dall’ambiente domestico (o anche dalla sicurezza della propria stanza) manifestando gravi sintomatologie ansiose. Non esiste più il «da grande farò», poiché non sanno neanche cosa faranno domani.
Punta il dito contro la Dad come strumento valido in fase emergenziale ma che non diventi una consuetudine e una sostituzione della didattica la dirigente dell’IIS Galilei di Ancona Annarita Durantini: «al di là della preparazione disciplinare la mia vera e reale preoccupazione è la situazione psicologica dei ragazzi – dichiara – il lockdown ha dimostrato quanto fosse importante la funzione sociale della scuola moderna, vissuta con senso di comunità e non in senso tradizionale. La scuola è una comunità e interrompere queste esperienze significa incidere negativamente sulla crescita e sullo sviluppo dei ragazzi, sulla loro personalità e nel vivere la comunità. Abbiamo bisogno del servizio psicologico e neuropsichiatrico infantile costante, poiché la pandemia è uno tsunami che ha amplificato problematiche e criticità che magari esistevano anche prima. Noi eravamo in presenza al 50% già da qualche tempo. Ora la prospettiva del ritorno al 70% non ci spaventa: stiamo lavorando con i Collegi docenti affinché si dedichi tempo ad analizzare i problemi dei ragazzi al rientro in classe, non li si tartassi di verifiche orali e scritte per compensare la valenza limitata della Dad e ultimare i programmi ministeriali».
La dirigente ha lavorato sull’adeguamento delle classi per garantire distanziamento sociale ed evitare le cosiddette “classi pollaio” con un numero di studenti sopra i 25. «Sarei felice se tutti i ragazzi potessero venire a scuola, ma bisogna intervenire sui trasporti scolastici dove anche prima della pandemia vi era un sovraccarico del 40% in più di passeggeri rispetto al consentito, impedendo così il distanziamento sociale. Affinché il rientro a scuola sia positivo – conclude – dovrebbero integrarsi e funzionare perfettamente i tre ambiti di intervento del mondo scolastico: la presenza dello psicologo scolastico; minor numero di alunni in ogni aula; trasporti scolastici triplicati».