CAMERANO – Francesco Burattini, cameranese, è cresciuto sul Conero. L’amore per le bellezze del parco è scattata da piccolo e non l’ha più lasciato. Oggi è istruttore nazionale di alpinismo e presidente della scuola di alpinismo e arrampicata libera “La fenice” per le sezioni Cai di Ancona, Jesi, Pesaro e Fabriano. La sua ultima “scalata” è la stesura della guida “Conero i sentieri del lavoro” che sarà presentata sabato 6 maggio a Camerano alle 18 nella sede della Pro loco. A lui abbiamo chiesto di farci luce su uno dei parchi più belli d’Europa.
LEGGI ANCHE: Mobilità dolce a Camerano
Burattini da quando la passione per l’alpinismo?
«Ho 65 anni. Quando erano bambino andavo a salutare i miei nonni a Sirolo da Camerano dove abitavo. Ero troppo vivace e un giorno mio nonno mi portò a piedi al passo del Lupo. Quella prima gita fu illuminante e mi innamorai del Conero. Da lì è nata la passione che mi ha guidato per tutta la mia vita portandomi addirittura a scrivere tre guide».
Com’è strutturata l’ultima?
«La prima l’ho redatta nel 1985, poi ne ho fatta uscire un’altra nel 1987 e adesso è arrivata la terza. È una lettura che vuole scoprire il monte tra ambiente, toponomastica, tra le tante vie di roccia e i cunicoli, con tratti anche di mistero. E poi arte e storia con i tanti avvenimenti importanti che lì si sono svolti».
Quali sono i focus?
«Ci sono capitoli importanti sull’opera di rimboschimento durante il Ventennio fascista, la storia della grande mina del Monte Conero, cioè quello scapolame roccioso prelevato per realizzare la barriera artificiale a Porto Recanati. Chi non si ricorda poi di Pepita Corvo che si smarrì nel 1981. Ci sono anche foto inedite del naufragio del Cargo del 1982. Non ho tralasciato nemmeno i percorsi del cinema, perché alcune scene furono ispirate o girate sul monte. Un’opera completa insomma, fatta di ambiente e segreti, come quelli sorti durante la Guerra Fredda».
C’è anche una mappa dei sentieri?
«Certamente, ho mappato tutti i sentieri. Ce ne sono anche di nuovi e per seguirli ho fatto anche riferimento all’archeologia industriale. Ad esempio non tutti sanno che alle Due Sorelle c’era la cava della ditta “Cesare Davanzali” e il sentiero più noto non era altro che l’accesso al lavoro dei cavatori. Però, ne ho scovati tanti altri “inediti” che portano alla spiaggia. Alcuni antichissimi, tracciati da Santa Maria di Portonovo dal Mille in poi. Ho allegato pure due carte, una del versante occidentale e l’altra panoramica lato mare».
Cosa manca al parco oggi?
«Bisogna fare qualcosa per la fruizione dei sentieri. I più belli, marchiati come zona di riserva integrale, non sono percorribili. Abbiamo un patrimonio incredibile ma purtroppo poco sfruttato. Rischiamo di perderli, anche perché si stanno “rinaturalizzando”. Non possiamo parlare di turismo sostenibile se poi, a una richiesta crescente da parte di turisti e residenti di percorrere di più a piedi il monte, siamo costretti a dire no. Il problema dell’accesso è il controllo: facciamo lavorare di più le guide, la loro presenza significa anche minore probabilità di vandalismo, una delle minacce del parco. In questo periodo più che mai c’è grande richiesta, c’è grande esigenza del verde».