ANCONA – Cambiamenti climatici: le nostre colture sono davvero a rischio? Ne abbiamo parlato con il professor Davide Neri, direttore del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali presso l’Università Politecnica delle Marche (Univpm).
In Sicilia, ad esempio, la stagionalità si sta adattando ai cambiamenti climatici e alla siccità e stanno spuntando di continuo colture di avocado, papaya e mango. Frutti tropicali, dunque, che sono già arrivati in Italia. E le Marche, da questo punto di vista, come stanno?
«Questo è un discorso complesso, perché le Marche si trovano in un clima mediterraneo, ma che ha già qualche componente climatica continentale, quindi noi abbiamo la possibilità – spiega Neri – di affrontare produzioni diverse, ma non quelle subtropicali. E questo cambiamento climatico non ci porterà nella direzione della Sicilia. Da noi, tutt’ora l’inverno esiste ed è anche molto freddo tra febbraio ed aprile. Ad aprile 2022, ad esempio, abbiamo avuto una gelata. Ciò significa che posto per le colture tropicali non ce n’è, a meno che non si pensi a delle serre».
Invece, «quello che dobbiamo fare – riflette il Direttore di Agraria – è adottare tutti gli accorgimenti per poter mantenere colture attuali al massimo della loro efficienza. Dobbiamo fare attenzione a migliorare le condizioni di gestione che ci permettano di conservare la fertilità del terreno e di conservare l’acqua disponibile. Le risorse idriche, nel nostro ambiente, arrivano ancora con quantità abbastanza simili a quelle delle annate precedenti».
Ma fino a quando la siccità non metterà a repentaglio le nostre coltivazioni? «Non ho la sfera di cristallo – spiega il professore – ma al momento niente allarmismi. Nella nostre regione ci sarà una buona annata, ve lo assicuro. La settimana scorsa, ho assaggiato le pere coscia della Val d’Aso. Beh, erano squisite. Vero è che ultimamente i frutti potrebbero essere di dimensioni più piccole perché in estate, col caldo, alcune specie vanno in letargo. Ma poi recuperano in autunno, quando assistiamo a un loro risveglio e a una loro crescita».
È quanto, ad esempio, può succedere con le melette rosa dei Sibillini con l’uva. In tutto ciò, c’è una nota positiva: «Non è detto che i frutti che rimangono di dimensioni contenute quest’anno non possano ricrescere nei prossimi anni. E comunque la scarsità d’acqua porta a una maggiore dolcezza del frutto». Insomma, poca acqua ma più zucchero nei frutti. «L’emergenza sorge se si coltiva in modo intensivo varietà tradizionali senza avere l’irrigazione. A questo punto, la stasi estiva viene vissuta come un trauma dalla pianta. A parità di acqua, invece, la pianta si adatta, come sta succedendo in questo periodo».
D’altronde, la natura è formidabile e si tratta di «varietà con migliaia di anni di storia. Loro superano il periodo secco e poi in autunno riprendono a crescere. Saranno di dimensioni più piccole rispetto ad annate più umide, ma avranno comunque una grande qualità. Bisogna sempre considerare, accanto alla tipologia del prodotto la tecnica di coltivazione. Chiaramente, se la siccità è drammatica le piante soffriranno fino a far cadere i frutti. Però, per il momento, siamo nella possibilità di fare un’ottima produzione per la parte frutticola». La morale è che «le varietà non perdono la loro capacità di crescere i propri frutti per via di annate secche».
Sono invece i tartufi a soffrire un po’ a causa della siccità: «Avremo una situazione a macchia di leopardo, perché la temperatura di questo periodo fa sì che alcune zone si trovino al bordo della loro fascia ottimale e potrebbe accadere che quest’anno producano meglio alcune tartufaie in quota, là dove è più fresco, in quota, ma è ancora tutto da vedere».
Intanto, certo è che il Dipartimento di Agraria dell’Univpm sta continuando nella ricerca di tecniche sempre più all’avanguardia, con sensori e droni per studiare il terreno e intervenire in modo mirato: «Si discute già di ˈforeste che parlanoˈ e andremo nella direzione delle smart cities (città intelligenti, ndr). L’erba secca dei prati non deve far paura. Gli alberi, nei nostri viali, sono verdi e rigogliosi e ciò accade perché le specie arboree hanno bisogno di acqua nei primi centimetri, mentre le radici degli alberi catturano le sostanze idriche in profondità, dove evidentemente di acqua ce n’è ancora».