ANCONA – Migliorare servizi pubblici e innovazione organizzativa, garantendo un giusto equilibrio tra vita professionale e lavorativa. Sono gli obiettivi che si prefigge il Governo con la riforma dello smart working per la pubblica amministrazione, una riforma che dovrebbe arrivare già da metà ottobre con il primo contratto sul lavoro agile nel nostro Paese.
Uno strumento, quello del lavoro da remoto, che nato sull’onda emergenza pandemica, ha mostrato potenzialità, ma anche limiti, rendendo necessario giungere a un impianto normativo. Intanto si parte con la pubblica amministrazione, dove il lavoro da remoto dovrà essere utilizzato solo per quei processi e attività di lavoro individuate dalle amministrazioni, fra quelle per le quali sussistono i requisiti organizzativi e tecnologici per per poter lavorare in modalità agile, ovvero a distanza. Ma oltre agli statali, anche nel privato lo smart working potrà avere un suo sviluppo.
Intanto con l’avvicinarsi della fine dello stato di emergenza, fissato ad oggi, salvo proroghe, al 31 dicembre, occorre trovare nuove regole, perché questa modalità di lavoro non verrà abbandonata in alcuni casi. La bozza a cui sta lavorando il Governo, punta ad un accordo individuale, nell’ambito del quale concordare durata, giornate di lavoro da remoto, luogo dove lavorare, che non potrà essere al di fuori dei confini nazionali.
Il tempo di lavoro nell’arco della giornata dovrà essere diviso in tre fasce, una di operatività, un’altra nella quale il lavoratore potrà essere contattato, e una ulteriore di inoperabilità che garantisca al dipendente il diritto alla disconnessione completa. L’accesso al lavoro agile potrebbe essere facilitato per i lavoratori con disabilità, per quelli che hanno figli minori di tre anni o disabili. Mentre non potrà lavorare in smart working chi lavora su turni e chi impiega per svolgere il proprio lavoro strumenti che non possono essere utilizzati da remoto.
Tra i punti da definire, l’accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore, il Green pass che potrebbe agire da trampolino di lancio favorendo l’accesso al lavoro agile per chi è sprovvisto della certificazione verde, poi le modalità di controllo e il potere direttivo del datore di lavoro. Ma sciolti questi nodi si andrebbe a creare una importante riforma nell’ambito del lavoro.
Barbaresi, Cgil: «Diritti e tutele definiti con la contrattazione collettiva»
«È necessario che sia la contrattazione di primo e secondo livello a definire ambiti e modalità di implementazione del lavoro agile, regolandone tutele, limiti e diritti fondamentali – spiega Daniela Barbaresi, segretaria generale Cgil Marche – . È ciò che la Cgil ha ribadito anche in occasione dell’audizione presso la XI Commissione Lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati sullo smart working».
Secondo Barbaresi, la legge non deve occuparsi di aspetti legati all’organizzazione del lavoro, ma deve «limitarsi a disciplinare materie più generali: diritto alla privacy, sicurezza dei dati aziendali, disconnessione. Dovrà essere poi la contrattazione collettiva a definire diritti e tutele. Dopo una fase straordinaria e di emergenza, che si è resa necessaria per affrontare la pandemia, occorre definire un percorso di pieno riconoscimento in termini di organizzazione del lavoro, terreno proprio della contrattazione collettiva».
Anche nel privato verrà applicato questo strumento: «Il percorso è ormai avviato – conclude Barbaresi – , non si può tornare indietro, va promosso e implementato in una cornice di diritti definita dalla legge e dalla contrattazione collettiva».
Talevi, Fp Cisl: «Non ingessarsi su una percentuale massima»
Secondo Luca Talevi, segretario regionale Fp Cisl, lo smart working sarà uno strumento importante anche nel settore privato e non solo nella pubblica amministrazione, «per razionalizzare i costi delle imprese» e consentire ai lavoratori di poter conciliare vita professionale e familiare. Ed è proprio nel privato che secondo il sindacalista questa modalità di lavoro con tutta probabilità «avrà una maggior diffusione».
Talevi fa notare che «le grandi multinazionali già si stanno muovendo in questa direzione e faranno rientrare i lavoratori in presenza non prima del gennaio del 2022». Chiaro che in modalità agile potrà lavorare chi non svolge attività al pubblico, come ad esempio gli amministrativi o anche altre figure.
Per quanto concerne la pubblica amministrazione, Fp Cisl ribadisce che se per il ministro Brunetta la percentuale massima di lavoro svolta in modalità agile dovrà essere fissata al 15%, per i sindacati invece questa è una quota minima. Inoltre lo smart working potrà essere uno strumento importante per i lavoratori in condizioni di fragilità, ma anche per Talevi occorre «lasciare alle parti la definizione della percentuale utile di lavoro da remoto, senza ingessarsi attorno ad un numero».