Ancona-Osimo

Il sociologo: «Giovani, tornate in presenza: l’università ha bisogno di voi. Dalla pandemia incertezza ovunque e danni sugli scolari»

Francesco Orazi, prof della Politecnica delle Marche: «A scuola c'era voglia di tornare, invece, nelle università, almeno l'80% degli studenti ha preferito la dad. A loro dico di rientrare in aula: l’università deve rivivere attraverso voi»

’UnivPM
’UnivPM

ANCONA – La pandemia ha permesso alla scuola e all’università di fare davvero i conti con il digitale, ma i disturbi da iposocialità sono molti. È quanto emerge dalle parole del professor Francesco Orazi, docente di Sociologia dell’economia e del lavoro all’Università Politecnica delle Marche. «Prima della pandemia, l’università italiana non aveva mai regolato l’e-learning, anche se l’ateneo dove insegno era già avanti. È come se in questo periodo ci fosse stata una sorta di sotto sperimentazione delle tecnologie digitali a livello nazionale».   

Nei primi lockdown, i docenti hanno dovuto fare i conti con modalità diverse di insegnamento, catapultati com’erano dalle aule degli atenei con centinaia di occhi su di loro a un freddo schermo di un pc. «Gli studenti e la dad? Prima erano un po’ spaesati e in difficoltà, poi, durante la seconda ondata, noi insegnanti ci siamo accorti che almeno l’80% di loro seguiva le lezioni da casa». Che fosse la paura del contagio? «Secondo me – riflette il sociologo – è più la comodità di stare a letto e di fare colazione mentre il docente parla».

LEGGI ANCHE:

Con la modalità mista (o blended), gli atenei erano (e alcuni, in parte, sono ancora) vuoti. Nelle aule rimbombano le nozioni che gli allievi ascoltano dalle loro camere. «Ma l’università senza studenti non funziona. L’attività erogata a distanza non è come quella in presenza, dal punto di vista qualitativo. Durante lo scorso anno accademico, abbiamo fatto una didattica basata sulle lezioni in diretta virtuale. Però, in 2 ore di diretta streaming la capacità di attenzione è inferiore a quella che avrebbe sui banchi».

L’aula magna “G.Bossi” dell’ateneo dorico

«Mi ha sorpreso che mia figlia fosse contenta di tornare in classe, alle elementari, e che gli studenti universitari abbiano preferito rimanere a casa. Evidentemente, le facoltà non erano viste come il luogo in cui c’era voglia di tornare. Intendiamoci – commenta Orazi – non sono contrario alla dad, ma va pensata adeguatamente secondo standard internazionali di qualità. Non può essere strutturata come semplice risposta a una questione imprevista qual è la pandemia».

Secondo il sociologo, che riprenderà a breve le sue lezioni in presenza, «questa incertezza non fa bene alle università, che – insieme alle scuole – vanno tenute aperte come risposta istituzionale al Paese». Intanto, gli psichiatri, dalla SIP (Società Italiana di Psichiatria) rilevano ansia, ipocondria e angoscia, ma non solo. «È incredibile la crescita della domanda di disagio presso le neuropsichiatrie infantili da parte dei minorenni – nota il sociologo -. L’isolamento sociale procura danni relazionali, emotivi e comportamentali profondi tra i 4 e i 15-16 anni. Su questo fatto rilevante c’è poca attenzione. Le principali neuropsichiatrie, compresa quella anconetana, segnalano questo allarme. Io non ho una ricetta, ma c’è un pezzo generazionale che subisce in modo pesante la digitalizzazione forzata e l’iposocialità».

«Ogni settore è sotto pressione, gli ospedali non se la passano bene. La pandemia è stato un evento imprevisto, che imporrà un nuovo fatto sociale totale. Il covid ha posto in discussione elementi di certezza che davamo per scontati, mettendo in evidenza una grave insufficienza pregressa nel modo di considerare le cose. Per esempio, parliamo di quarta dose, ma metà della popolazione mondiale non è vaccinata. Dovremmo ripensare a un modo di vivere più solidale, più capace di differenziare il bello dal buono e il brutto dal cattivo. Là dove bello e brutto riflettono l’estetica e buono e cattivo sono l’etica. Bisogna riportare ordine nel modo in cui le persone prendono la parola e valutano le cose che dicono».

Il sociologo prosegue: «Agli inizi del covid, dicevano che ne saremo usciti migliori, è così? Difficile essere resi migliori da una situazione come questa. Io immagino il modo in cui entravo in un supermercato prima della pandemia e lo paragono a come ci entro oggi. Prima entravo incrociando una serie di fantasmi. Le persone con cui mi interfacciavo erano fantasmi, nel senso che c’era disattenzione profonda. A questa disattenzione profonda, durante la fase pandemica si è sostituita una diffidenza profonda, poiché dentro i supermercati era tutta una serie di schermaglie, segnali e regole da rispettare: mascherina, igienizzazione, guanti, no contatti. Insomma, il corpo dell’altro, che in fase pre pandemica era un fantasma e che diventava reale solo se urtandolo dicevamo ops, scusi, ora è diventato una cosa visibile e a cui stare attenti. 

E ancora: davvero i giovani di oggi avranno più lacune nel mondo del lavoro? Gli universitari hanno subìto meno danni rispetto agli scolari. Nelle scuole, la dad non è stata in grado di coprire l’intero spettro dell’offerta formativa. Per il 2022, consiglio agli universitari di tornare in aula. L’università deve rivivere attraverso voi e la vostra voglia di tornare. Agli adolescenti, auguro di sfangarla bene, loro sono stati i più colpiti da questa situazione. Ai bambini, auguro che il tempo sia galantuomo. E per tutti coloro che hanno avuto problemi seri, spero che i servizi di neuropsichiatria infantile siano bravi nel ridurre al minimo i danni».