ANCONA – La legalità arriva sui banchi del liceo scientifico Galileo Galilei di Ancona, passando per le terre confiscate alla mafia. È questa l’ultima iniziativa dell’istituto anconetano, presieduto dalla professoressa Alessandra Rucci.
Attualmente, sono circa 80 gli studenti e le studentesse del Galilei che si trovano in Calabria, nelle strutture dell’associazione nazionale ˈLibera contro le mafieˈ, il cui nome si associa facilmente al suo presidente, don Luigi Ciotti. Una vita – la sua – spesa contro il malaffare, all’insegna – appunto – dell’educazione alla legalità. Altri 80 ragazzi partiranno a breve, a maggio. Ad essere coinvolte, sono quattro classi della scuola dorica.
«È la prima volta in assoluto che Libera stipula un accordo con una scuola» fa sapere dirigente Rucci, che spiega com’è nata l’iniziativa: «Si tratta di un accordo che si inserisce nell’ambito della vecchia alternanza scuola lavoro, oggi denominata pcto (percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento)».
«Non è stato facile organizzare ciò, ma ci siamo riusciti. All’inizio – confessa la preside – temevamo che le famiglie e i ragazzi non comprendessero a pieno il senso del progetto. E invece abbiamo trovato formidabile sostegno. Quella che stanno vivendo gli alunni e le alunne del Galilei è una storia fantastica, un’esperienza forte e meravigliosa».
Una storia che, a dire il vero, parte da lontano, da una consolidata iniziativa ideata dal docente di religione, Livio Martinangeli: «Al Galilei, si era soliti fare la Settimana di convivenza e volontariato, grazie alla quale i ragazzi finivano in case di riposo o centri di volontariato per un’esperienza diversa. Poi, però, a causa del covid è risultato difficile accedere alle strutture socio-assistenziali e così ci siamo chiesti cos’altro poter fare».
Da qui l’idea di un percorso di educazione alla legalità con Libera: «Un percorso – precisa Rucci – realizzato grazie ai docenti Martinangeli, Dorothy Rossi, Roberta Gambella e Carla Raffaelli».
Ora, i due gruppi di studenti – uno a Isola di Capo Rizzuto e l’altro a Polistena – coltivano le terre confiscate alla mafia, cucinano, si prendono cura degli spazi comuni e assistono perfino a delle lezioni sulla mafia. Lezioni tenute da chi conosce da vicino la ‘ndrangheta, da chi ha vissuto tra le file di Cosa nostra o della Camorra e da chi – magari – è diventato testimone di giustizia schierandosi contro la Sacra corona unita.
Quegli 80 ragazzi anconetani, schiena piegata e vanga a fianco, stanno lavorando sulle terre appartenute per troppo tempo a clan mafiosi. «Non sono sdraiati i nostri giovani – riflette Rucci –. Sono con le spalle curve, con le mani disposte a screpolarsi, vogliono capire, vogliono agire, vogliono costruire un mondo giusto. Più sto coi ragazzi e più lavoro coi miei alunni, più mi rendo conto che questi figlioli sono forze della natura».
«In fondo – continua la preside – basta dare loro fiducia, coinvolgerli, renderli protagonisti ed ecco che loro rispondono nella maniera più generosa possibile. Vedo ragazzi straordinari che possono essere una speranza per il futuro. Hanno aderito a questa iniziativa con gioia. Altroché sdraiati: i giovani sono una grande luce di speranza».