ANCONA – Irene Micucci presenta ´2024´ una mostra fotografica per una riflessione profonda sul nostro rapporto con la tecnologia, sull’invisibilità dei pericoli che minacciano la nostra privacy e sulla responsabilità con cui dovremmo utilizzare questi strumenti.
L’iniziativa, inaugurata pochi giorni fa, fa tappa alla Cantina fotografica fino al 7 dicembre (ingresso gratuito dalle 17 alle 21). «Il mio desiderio – spiega Micucci, artista anconetana di 29 anni – è che il visitatore, immergendosi in questo ambiente, possa vivere un’esperienza multisensoriale che lo porti a riflettere sulla propria percezione di sicurezza, sulla vulnerabilità dei nostri spazi più intimi e, soprattutto, sul nostro ruolo in un mondo sempre più osservato e monitorato».
Dopo aver frequentato l’artistico Mannucci, l’artista si è iscritta all’Accademia delle Belle Arti di Macerata: «Mi muovo nell’arte con un approccio libero, utilizzando diversi strumenti espressivi, quello che mi spinge ad una continua ricerca artistica è la rinnovata comprensione del mondo e di come esso viene svelato attraverso il processo creativo», confessa.
Un’installazione, quella di Micucci, che «si sviluppa come un ambiente immersivo ispirato agli anni ‘60 – ’70, quando ancora la videosorveglianza non era la nostra ´normalità´, riportando lo spettatore ad un contesto di sicurezza, invitandolo ad una profonda riflessione sulla nostra attuale vulnerabilità».
Il progetto nasce non solo da una riflessione critica tra controllo tecnologico e libertà individuale, ma anche e soprattutto da un profondo desiderio di catturare ciò che sfugge alla «nostra percezione quotidiana. Da questa riflessione è emersa un’interrogazione più ampia sul ruolo della tecnologia nella nostra quotidianità: in particolare sulla presenza pervasiva della videosorveglianza. Le telecamere di videosorveglianza – prosegue l’artista – sono ormai parte integrante della nostra vita quotidiana, con il titolo di garanti della nostra sicurezza si insinuano nelle nostre case, nei nostri spazi privati come una presenza silenziosa ma ingombrante».
Di qui una serie di domande: «Quando installiamo una videocamera nelle nostre case, per assicurarci la sicurezza dei nostri figli o dei nostri animali, siamo davvero consapevoli delle implicazioni che questa scelta comporta? In un’epoca in cui siamo costantemente osservati, com’è cambiato il concetto di sicurezza e privacy? L’obiettivo dell’iniziativa è non solo quello di utilizzare metodi fotografici alternativi ma anche la sensibilizzazione all’utilizzo di questi dispositivi».
«Le immagini esposte – conclude – sono screen shot catturati da alcune telecamere italiane, senza un obbiettivo estetico preciso, utilizzate come mezzo per indagare il confine tra visibili ed invisibile, tra controllo e libertà, una misura per comprendere come un simbolo di tutela possa trasformarsi in una sicurezza del tutto illusoria. Il progetto si è realizzato grazie al contributo di un gruppo di cinque persone, ognuna con competenze tecniche e artistiche diverse, che mi hanno supportata nel tradurre questa visione in un’esperienza collettiva, la collaborazione è diventata parte essenziale del processo, portando ad un risultato che è tanto il frutto del lavoro individuale quanto di quello condiviso».