ANCONA – La violenza sulle persone fragili è un fenomeno più diffuso di quanto si possa pensare. È quanto è emerso nel corso del VI convegno regionale “La violenza sui minori, sulle donne e sugli anziani: riconoscere, proteggere, intervenire”, promosso dall’Azienda Ospedali Riuniti di Ancona e tenutosi alla Facoltà di Medicina e Chirurgia di Ancona. Se da un lato la violenza sulle donne registra un lieve calo, grazie alle campagne di informazione e sensibilizzazione compiute negli ultimi anni, dall’altro quella verso gli anziani registra una consistente crescita, tanto da essere considerata ormai “la violenza del terzo millennio”.
E i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità non fanno altro che confermare questa tendenza: nel 2017 1 anziano su 6 ha subito una qualche forma di abuso e per il 2050 si stima che il numero delle vittime di violenza potrebbe arrivare a 320 milioni di persone.
«I casi di maltrattamenti sugli anziani rappresentano solo la punta di un iceberg di un grande sommerso – ha spiegato Loredana Buscemi, medico legale e direttore scientifico dell’evento, – perché non denunciano quasi mai chi compie gli abusi su di loro, dal momento che spesso si tratta di persone da cui dipendono, come familiari, care-giver, badanti o assistenti delle case di riposo. Inoltre rispetto alle donne e ai bambini, gli anziani sono meno tutelati». Un quadro ulteriormente complicato dalla difficoltà diagnostica: «L’anziano è soggetto facilmente a lesioni – ha precisato la dottoressa Buscemi – che rendono difficile comprendere quali siano frutto di violenza e quali derivino da altri fattori».
«Mi ha molto colpito questa attenzione per la violenza sugli anziani che tiene conto di un dato anagrafico della popolazione ed è qui probabilmente che c’è una frontiera nuova, perché nella violenza sui minori e sulle donne siamo più attrezzati», ha commentato il procuratore di Ancona Monica Garulli che ha anche sottolineato la necessità di cambiare l’approccio multidisciplinare, tenendo conto della nuova realtà.
«L’attenzione della Procura della Repubblica di Ancona come in passato è forte e alta e tiene conto di questo apporto che proviene da figure professionali importanti che collaborano in prima battuta nel riconoscimento del sintomo. Non a caso, infatti, il titolo del convegno è riconoscere, proteggere e intervenire, perché c’è un problema di riconoscimento del sintomo e di protezione che consente anche alla persona offesa di aprirsi. Poi c’è l’intervento giuridico in senso stretto che può essere doloroso, ma che se preceduto da un buon riconoscimento del sintomo e da un senso di protezione probabilmente è più facile».
Oltre il 31,5% della popolazione femminile di età compresa tra 16-70 anni ha subito nel corso della sua vita violenza fisica o sessuale, il 26.4% violenza psicologica o economica e il 21.5% stalking da parte di un ex partner. In crescita anche i casi di violenza sulle donne in gravidanza.
Ma gli abusi sulle donne non avvengono solo fra le quattro mura domestiche, possono verificarsi anche sul posto di lavoro. In questo senso è emblematico il fenomeno degli abusi perpetrati ai danni delle professioniste della salute, medici e infermiere, che lavorano nella continuità assistenziale. In questo senso suscitò scalpore la vicenza della operatrice sanitaria del 118 che nel 2016 venne picchiata da un paziente. Un tipo di violenza che viene messa in atto soprattutto da soggetti ubriachi e tossicodipendenti.
Una problematica importante di cui si sta occupando l’OMCeO di Ancona, che ha messo a punto un questionario di valutazione presentato dalla dottoressa Arcangela Guerrieri, membro del consiglio direttivo dei camici bianchi dorici.
«La violenza sugli operatori sanitari è un problema scottante che come ordine dei medici e chirurghi abbiamo affrontato più volte – ha detto la dottoressa Arcangela Guerrieri -. Nelle Marche le donne medico sono tra i soggetti più colpiti, soprattutto nelle postazioni di guardia medica, anche se nel sud Italia sono stati aggrediti anche altri operatori sanitari del 118 o infermieri. Su questo come OMCeO Ancona abbiamo sollecitato più volte le aziende sanitarie per la sicurezza delle postazioni, specie dove il medico si trova a lavorare da solo, chiedendo di accorparle a quelle dove ci sono anche infermieri o associate al 118, in modo che il medico non si trovi da solo. Ed è allo studio dell’Azienda Sanitaria di fornire ai medici dei tracker, ovvero dei pulsanti collegati direttamente con il 118, in modo che se il medico è in difficoltà viene richiamato. È ancora in fase embrionale, ma ci stiamo lavorando».
Diversi gli abusi ai danni dei medici registrati nelle Marche, dove negli ultimi anni si sono registrati almeno tre casi, dei quali l’ultimo recentemente a Falconara. Un tema molto sentito in ambito nazionale tanto che sul sito della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri è stato pubblicato un questionario per gli operatori sanitari per creare una sorta di banca dati sulle violenze denunciate e soprattutto per far emergere quelle che non sono state denunciate
Una delle più gravi emergenze umanitarie è quella degli abusi sui minori: ogni anno nel mondo i bambini sottoposti a violenza si aggirano tra i 500 milioni e 1 miliardo e mezzo. Solo in Italia si stima che siano circa 100 mila i bambini maltrattati, il 19% dei quali è vittima di violenza assistita, la seconda forma di maltrattamento sui minori. «Occorre fare attenzione nel fare una diagnosi di violenza sui minori – precisa la dottoressa Buscemi – i bambini non dicono nulla, quindi bisogna essere certi dell’abuso prima di inviare la segnalazione alle autorità».
LA SITUAZIONE NELLE MARCHE
Dal primo gennaio 2010 al 31 dicembre 2017 sono stati 69 i casi di abuso osservati sui minori all’Ospedale Salesi, dei quali 37 per sospetto maltrattamento e 32 per sospetto abuso sessuale. La fascia di età che va da 6 a 10 anni, è quella più colpita, seguita da quella da 0 a 5 anni.
Nello stesso periodo si sono registrati all’Ospedale di Torrette 223 casi di violenza sulle donne. Di questi 194 per maltrattamento e 29 per violenza sessuale. La fascia di età più colpita è quella delle over 40.
COSA PREVEDE LA LEGGE
Secondo il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri entrato in vigore lo scorso 30 gennaio, le nuove “Linee guida nazionali per le donne che subiscono violenza“, alla cui stesura ha partecipato anche Lucia Annibali (la donna sfregiata con l’acido dall’ex partner), prevedono dopo il triage infermieristico (salvo che non sia necessario attribuire un codice di emergenza – rosso) che alla donna sia riconosciuto un codice urgente per garantire una visita medica tempestiva, con tempo di attesa massimo di 20 minuti, in modo da ridurre al minimo il rischio di ripensamenti o allontanamenti volontari.
Prevista anche la formazione continua degli operatori della salute, per garantire un’adeguata accoglienza e presa in carico della vittima, oltre alla rilevazione del rischio, alla prevenzione, raccolta e custodia delle prove (come tracce biologiche) per gli accertamenti di natura medico legale.
Già dal 2006 gli Ospedali Riuniti di Ancona hanno stabilito protocolli assistenziali diversi per le vittime di violenza, distinguendoli quelli per le donne adulte da quelli per le bambine, dal momento che richiedono approcci adeguati.
«Appare con grande evidenza, nel trend della presa in carico delle persone colpite da violenza che va dai piccoli numeri del 2010 ai numeri grandi di oggi, – ha evidenziato il direttore degli ospedali Riuniti Michele Caporossi – che l’esistenza di un’equipe coordinata che parla la stessa lingua fra coloro che prendono in carico il paziente al triage, i medici che obbediscono a dei protocolli di intervento, le forze dell’ordine e la magistratura, sono il viatico per fare emergere sempre di più questo fenomeno e quindi per combatterlo. È chiaro che a fronte di una marea montante di casi, che anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sottolineato, specie per quanto concerne gli anziani, molta di questa violenza è inespressa e non viene a galla, occorre quindi moltiplicare gli sforzi. Noi siamo soddisfatti di questa esperienza e ricordo, come componente della direzione Fiaso (Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere), che la nostra è un’esperienza pilota a livello nazionale».
Un soccorso, quello medico e forense, che dovrebbe essere fornito nello stesso momento dallo staff sanitario. «La ricerca delle tracce biologiche per l’analisi del Dna, al fine di identificare il colpevole della violenza – ha evidenziato Loredana Buscemi, che è anche il nuovo presidente della Società Scientifica Nazionale Genetisti Forensi Italiani (GeFI) – deve poter contare su una corretta raccolta del campione biologico da esaminare e su una consolidata catena di custodia. Gli operatori sanitari che per primi hanno contatto con un soggetto che ha subito una violenza sessuale, dopo aver prestato le prime cure necessarie, devono obbligatoriamente adottare tutte le procedure volte alla ricerca sia negli indumenti della vittima che nel suo corpo di eventuali tracce biologiche dell’aggressore e devono altresì avere una formazione idonea per evitare fenomeni di contaminazione con altri fonti biologiche durante l’espletamento di tutte le operazioni.
Tale indagine potrebbe assumere un ruolo decisivo in sede processuale ed una osservazione superficiale o una alterata condotta nella fase del prelievo o della conservazione potrebbero incidere negativamente sull’esito del processo. Non solo, quindi, soccorrere e curare, ma raccogliere e preservare quanto possa essere utile alla vittima qualora voglia presentare una denuncia all’Autorità Giudiziaria. È ovvio che saranno poi gli esperti in ambito di genetica forense a procedere alle delicatissime indagini del Dna per poter ricavare un profilo genetico da ricondurre poi al presunto aggressore».
Tutti possono fare qualcosa, ha evidenziato Loredana Buscemi: «Occorre scoperchiare il vaso di Pandora e aiutare la donna, indirizzandola se necessario nei centri anti violenza o nelle strutture protette. È importante segnalare le situazioni di degrado relative a minori e anziani – ha detto – Non si deve voltare lo sguardo, pensando che non siano affari propri. Mi preme continuare a sensibilizzare i professionisti della salute sull’entità del fenomeno e sulle possibilità di agire. Occorre mantenere alto il livello di attenzione su questa problematica. Gli oltre 300 a questo congresso, numeri da congresso nazionale, mi fanno capire che c’è bisogno di intervenire e mantenere costante la formazione su questo tema, inserendolo anche nei percorsi universitari. Un obiettivo sul quale stiamo lavorando con il rettore dell’università Politecnica delle Marche Sauro Longhi».
Una lotta, quella alla violenza che deve iniziare già si banchi di scuola. Quest’anno al convegno hanno partecipato anche gli studenti delle scuole medie superiori (classi IV e V) del corso Servizi Socio Sanitari dell’Istituto Istruzione Superiore Podesti-C. Onesti di Chiaravalle. La dottoressa Buscemi ha ribadito l’importanza di fare cultura su questo tema nelle giovani generazioni, «abbattendo alla radice, fin dalla primissima età, le condizioni culturali e sociali che favoriscono la violenza sulle persone fragili, i fenomeni di omofobia, di bullismo e di cyberbullismo». Un percorso che deve poi proseguire anche all’università.