Il femminicidio, come espressione di una violenza brutale sulle donne. È questo il tema attorno al quale si snoda la trama de “Il segreto del sogno”, il romanzo scritto dalla celebre pedagogista di Castelfidardo Annunziata Brandoni. Il libro, che è stato presentato nei giorni scorsi a Numana presso il Circolo La Fenice, ambientato nella riviera del Conero, narra di due delitti sui quali indaga il commissario Antonietta Baldi (Ninetta): il primo è quello che ha segnato la sua infanzia, l’assassinio della madre, l’altro è l’uccisione di una prostituta. Due donne lontane nel tempo, ma accomunate da uno stesso tragico destino. «Ne “Il segreto del sogno” – spiega l’autrice – la violenza che porta al femminicidio ha origine da complessi di freudiana memoria, mentre nel precedente romanzo, che ho scritto qualche anno fa,” Rose rosso sangue”, la violenza del maschio agiva perché non riesce più a controllare la donna che gli ha tolto l’habitus di padre-padrone nel momento stesso in cui ha rivendicato il suo posto al sole».
Un romanzo giallo che è l’occasione per riflettere su un tema molto importante, quello della violenza sulle donne. Dall’inizio del 2017 ad oggi sono già più di 100 le donne che si sono rivolte al Centro Antiviolenza di Ancona per ricevere sostegno psicologico e assistenza legale. Sono numeri importanti se si pensa che in molti casi la violenza sulle donne è un fenomeno che resta sommerso, perché si consuma frequentemente tra le mura domestiche: «Le relazioni di coppia sono spesso teatro di violenza contro la donna – spiega Roberta Montenovo, vice-presidente dell’Associazione Donne e Giustizia che gestisce il Centro Antiviolenza di Ancona – nella maggior parte dei casi sono i compagni e i mariti a perpetrare i maltrattamenti. La forma più frequente di aggressione è quella psicologica, seguono poi quella fisica e quella sessuale, che nella coppia non viene neanche considerata come una forma di maltrattamento. Non meno importante la violenza economica: le donne in questo caso non hanno la gestione del patrimonio familiare, che rimane di appannaggio esclusivo del compagno. Questa tipologia di violenza viene spesso sottovalutata ma è una problematica molto complessa, perché nella relazione permette all’uomo maltrattante di esercitare un potere di controllo assoluto sulla donna, che spesso si protrae anche dopo la fine del rapporto, ad esempio con il mancato versamento del contributo al mantenimento per la moglie o i figli. Queste forme di violenza in genere si sovrappongono fra loro, ma la più diffusa è la psicologica, mentre la più riconosciuta, a causa dei segni evidenti che lascia, è quella fisica. La stessa donna fatica a riconoscere la violenza psicologica come un maltrattamento».
La fascia d’età più colpita è quella che va dai 30 ai 50 anni, ma «negli ultimi anni l’età si sta abbassando e sono sempre più giovani, anche ventenni, le donne vittime di abusi, fin dalle prime relazioni – prosegue l’avvocato Roberta Montenovo – la spiegazione di questo dato può forse risiedere nella trasmissione culturale ai giovani maschi del senso del controllo e del possesso della donna, che viene vista come un oggetto e non come una persona. I partner giovanissimi controllano il cellulare delle loro fidanzatine e intervengono anche sul loro abbigliamento. La violenza sulla donna è un fenomeno trasversale sia per ceto sociale che livello culturale, anche se emerge più facilmente in situazioni di disagio».
Un comportamento aggressivo dell’uomo difficile da prevedere e molte si colpevolizzano per non avere capito prima. «In questo senso mai sottovalutare il primo scatto di ira; le reazioni forti, sia fisiche che psicologiche, – conclude la Montenovo – devono essere interpretate come un campanello d’allarme. È vero anche che spesso la violenza accade in una situazione di coinvolgimento emotivo e sentimentale, per cui c’è difficoltà a riconoscerla. Nel ciclo della violenza, l’uomo maltrattante all’inizio è molto attento e si prende cura della donna, ma poi interviene spesso un motivo anche futile che fa scattare la violenza. In seguito però l’uomo si scusa, la donna lo perdona, ma il ciclo si ripresenta e gli episodi si fanno più frequenti. La donna finisce in una specie di “imbuto” dove si trova quasi sempre sola perché nel tempo ha tagliato i contatti con la famiglia di origine e le amicizie, spesso con il lavoro; la violenza tende ad isolare la vittima. Chi viene da noi trova accoglienza coperta da anonimato, e garantiamo consulenza legale e psicologica; diamo informazioni sulla separazione e l’affidamento dei figli, mettiamo a disposizione della vittima tutti gli strumenti per uscire dalla situazione di violenza, ma non ci sostituiamo mai alla donna nella decisione. C’è un lavoro di rete con i servizi sociali e la casa rifugio Zefiro di Ancona. Solo con una buona rete tra i vari soggetti del territorio, come la nostra associazione, le forze dell’ordine, l’ospedale, i servizi sociali del comune e consultorio, si può dare una risposta efficace e funzionale alle donne vittime di violenza. Proprio per questo si sta lavorando da tempo sul territorio comunale e provinciale».
L’Associazione Donne e Giustizia che gestisce il Centro Antiviolenza di Ancona dal 2009, in seguito alla Legge Regionale 32 del 2008, è nata nel 1984 da alcune avvocatesse desiderose di aiutare le donne vittime di violenza domestica.
Ma la violenza sulla donna non si limita ai rapporti di coppia o familiari, spesso interessa anche il mondo del lavoro, dove i registrano casi di molestie e mobbing. Proprio per tutelare le donne da ogni forma di aggressione è stata istituita la figura della Consigliera di Parità. Nella Provincia di Ancona l’incarico è attualmente ricoperto da Giuseppa Ferraro.