Ancona-Osimo

Yuri, dalle Marche all’Ucraina per salvare 6 persone: «Adesso resto qua, ma più avanti potrei andare a combattere nel mio Paese»

Yuri, nome di fantasia di un 23enne ucraino residente nell'Anconetano, racconta il suo viaggio di 52 ore grazie al quale ha salvato 6 familiari portandoli nelle Marche

Bandiera dell'Ucraina

ANCONA – «Che effetto mi ha fatto rivedere, anche se solo dalla frontiera il mio Paese? È stato un tuffo al cuore». Yuri, nome di fantasia di un giovane 23enne originario dell’Ucraina, ma residente nell’Anconetano da quando aveva 4 anni, racconta così il suo viaggio a ritroso dalle Marche verso il Paese di origine, per andare a prendere i familiari in fuga dall’Ucraina.

Un viaggio che, come ci racconta, non avrebbe mai pensato di fare a causa di una guerra, come quella che ha preso rapidamente forma negli ultimi giorni. Appena vista l’escalation delle ostilità da parte della Russia, Yuri non ci ha pensato su neanche un attimo ed è partito alla volta di questa terra flagellata dalla guerra.

Giusto il tempo di organizzarsi con il lavoro, e confrontarsi con il papà ancora là, in Ucraina, per capire come fare per macinare chilometri su chilometri di strada in un viaggio durato fra tutto la bellezza di 52 ore, file alla frontiera incluse, per riuscire a mettere in salvo 6 persone, tre cugine, due sorellastre, fra le quali anche una 15enne, e un bambino di 4 anni.

«Siamo partiti con due auto giovedì sera – racconta – io, mio fratello, mia madre e il suo compagno: mia madre aveva paura per i suoi figli e, vedendo che in tanti stavano lasciando il Paese, è voluta andare in Ucraina per portarli via. Mio padre ha accompagnato tutti fino alla frontiera con la Romania. Noi siamo arrivati più tardi del previsto perché in Romania siamo rimasti in coda alla frontiera per sette ore, questo ha causato un po’ di problemi perché i miei familiari l’avevano già attraversata e sono rimaste da sole con il bambino di quattro anni. Erano spaventate e inoltre sono state avvicinate da tre uomini che dicevano di volerle aiutare, ma noi non ci siamo fidati e abbiamo detto loro di stare vicino a qualche pattuglia. Per fortuna eravamo in contatto con un’associazione internazionale, la Remar, che ha subito inviato delle persone sul posto per metterle al sicuro nell’attesa del nostro arrivo. E per fortuna è andato tutto bene».

Un lungo viaggio, con una sola ora di riposo per Yuri, ma con l’orgoglio nel cuore, per aver portato via da quell’orrore la sua famiglia, ma anche «con la tristezza nel cuore, perché mio padre è dovuto rimanere là, perché alla frontiera fanno uscire solo donne e bambini. In Ucraina c’è anche un mio cugino che si sta occupando di dare un tetto ai tanti sfollati, visto che lavorava nel settore immobiliare, ed i miei nonni che non vogliono abbandonare la loro terra».

Come stanno i tuoi familiari?
«Sono felici di essere qua nelle Marche al sicuro, ma allo stesso tempo sono tristi e spaventati per aver lasciato la propria casa, la propria terra e le proprie abitudini. Oltretutto non parlano neanche l’Italiano».

Cosa ti hanno raccontato degli ultimi giorni trascorsi in Ucraina?
«Per fortuna nel mio paese di origine, al confine con la Romania, la guerra non è ancora arrivata, ma potrebbe presto interessare anche quei luoghi. Mi hanno detto che ci sono tantissime persone sfollate, che non hanno neanche vestiti di ricambio o coperte per scaldarsi, né cibo, perché per fuggire dalle loro case hanno perso tutto».

Nel paese, spiega Yuri, suo padre, suo cugino e anche il resto della popolazione ancora lì chiedono armi, elmetti, giubbotti antiproiettile, per resistere e difendere la propria terra, «mi sto adoperando per cercare di mandare loro ciò di cui hanno bisogno, ma non è semplice. Per ora sono riuscito a raccogliere molti capi di vestiario, perché avevo lanciato una raccolta in vista dell’arrivo dei miei familiari: ma grazie alla generosità delle persone è arrivata così tanta roba, che posso inviare in Ucraina».

Tu sei in Italia ormai da tanti anni, come ti senti a vedere quello che sta accadendo nel tuo Paese di origine?
«È una ferita al cuore. Anche se non mi ricordo tanto, perché quando sono venuto qua avevo quattro anni, sento forte il richiamo dell’Ucraina, e anche se per ora ho deciso di restare qua per aiutare il mio popolo cercando di mandare laggiù quanto più possibile, tra kit di primo soccorso, vestiario e coperte, non escludo che superata questa fase io non possa decidere di andare in Ucraina, per combattere anche io al fianco di mio padre e del mio popolo. Gli ucraini sono un popolo fiero e non si piegheranno».

Che ne pensi delle sanzioni dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, pensi saranno utili in qualche maniera?
«Non lo so, non so che pensare. Per ora Putin ha reagito mettendo in preallerta il sistema nucleare. Difficile capire quale possa essere la strategia utile in un frangente come questo».