ASCOLI – Le attività commerciali nella città di Ascoli sempre più in sofferenza. Prima la crisi industriale che ha portato negli anni alla chiusura di numerose fabbriche del comprensorio, riducendo occupazione e reddito. Con una già pesante ripercussione sui consumi nei negozi soprattutto del centro storico cittadino.
Poi nel 2016 è arrivato il terremoto, che sebbene abbia sfiorato il capoluogo in termini di danni e case lesionate, ha provocato effetti non secondari sul mercato abitativo e sull’abbandono della città di molti residenti, con un calo demografico senza precedenti. E adesso ci si mette anche il covid, che non solo non fa muovere l’economia locale ma ha bloccato quel movimento turistico che certamente era stato rilanciato nel Piceno negli ultimi 10 anni.
Il combinato disposto di questa situazione, di cui non si vede la fine sta causando riflessi drammatici soprattutto sul piccolo commercio cittadino, sugli esercizi di ristorazione e filiere collegate, tanto che l’ipotesi che avanza Confcommercio è di una chiusura di almeno il 25% delle attività di Ascoli, se non si cambia direzione.
«In otto anni sono state perse ben 80 imprese commerciali – ricorda il presidente dell’associazione, Ugo Spalvieri – ma solo 2 in ambito turistico e ricettivo. Ma adesso con le restrizioni per il covid anche questo settore subirà un crollo».
Dal 2012 al 2020, secondo dati del Centro studi Confcommercio, nel capoluogo piceno si è passati da 175 a 135 attività, nella zona centrale e da 413 a 375 in quella esterna. Una contrazione già pesante che potrebbe accellerare nell’anno in corso, a seguito di tutte le crisi che si sono sommate nel periodo recente.
«Il quadro più allarmante è quello del centro storico ascolano – sostiene Costantino Brandozzi – così come in tante altre realtà italiane. Se non si cambia strada gli effetti potrebbero essere devastanti: noi stimiamo riduzioni del 25% entro l’anno nell’ambito della ristorazione e della ricettività, che sono le più colpite dall’emergenza sanitaria. Ma rilevanti flessioni prevediamo ci saranno anche per i negozi di abbigliamento e calzature, e per le attività al dettaglio in genere : tra il 17% e il 20% di cessazioni.»
Per quanto Ascoli sia in una fase di decadenza iniziata si può dire, anche se in sordina oltre 20 anni fa – dopo la fine del periodo d’oro della Cassa del Mezzogiorno che ha portato decine di industrie e ricchezza per tutti – uno scenario così negativo non si era mai visto. E per quanti sforzi vengano fatti da Comuni e istituzioni, al momento non sembra vi siano grandi spiragli di luce per il futuro.
E la crisi dovuta al covid ancora morde sulla città, tanto che per evitare assembramenti e potenziali aumenti dei contagi, il sindaco Marco Fioravanti ha appena emanato un ordinanza per imporre ai negozi il divieto di vendita di alcolici nei weekend da domani al 29 marzo. Con ulteriori erosioni dei ricavi di molte aziende cittadine.
Nessuno poteva prevedere prima la crisi sanitaria legata al rischio covid, anche se continuare a contare ancora oggi positivi che sono per il 95% asintomatici e non malati, prolungando una stato di allarme e paura tra la gente che si riflette sui consumi, non serve a molto.
Ma di certo, alcuni anni fa le istituzioni e le forze sociali e politiche potevano immaginare che la proliferazione dei grandi centri commerciali esterni alla città avrebbe condizionato fortemente la propensione all’acquisto dei residenti nei negozi di vicinato, che avevano magari prodotti di qualità migliori ma di sicuro a prezzi non concorrenziali con le catene della Gdo. Il risultato, al netto del covid, è quello che oggi ci troviamo davanti. E che penalizza soprattutto una piccola realtà come Ascoli che dovrebbe fare del suo unico patrimonio storico-artistico la ricchezza più grande per far funzionare l’economia. Ma è chiaro che i tempi non sono ancora maturi.