Ascoli Piceno-Fermo

Infuria la querelle sull’oliva ascolana: è scontro tra produttori e industriali

Da mesi è polemica sulla Denominazione di Origine Protetta (DOP) “Oliva Ascolana del Piceno". Da un lato Consorzio di tutela e associazioni agricole sul rispetto del disciplinare, dall'altro i produttori industriali che spingono per allargare la produzione

Infuria la polemica sulla Denominazione di Origine Protetta (DOP) “Oliva Ascolana del Piceno“, tra produttori artigianali e produttori industriali della pietanza tipica ascolana. Riconosciuta 20 anni fa, nel 2005, con decreto pubblicato in Gazzetta Europea, la Dop è sia per l’oliva verde in salamoia che per quella farcita di carne.

La questione è stata sollevata dal Consorzio di Tutela dell’Oliva Ascolana del Piceno DOP, denunciando l’uso improprio di denominazioni generiche come “oliva all’ascolana” su prodotti non conformi al disciplinare Dop, soprattutto nella grande distribuzione.

Tale pratica, secondo il Consorzio, danneggia sia i produttori locali che i consumatori, i quali potrebbero essere indotti in errore riguardo alla qualità e all’origine del prodotto. Il 10 febbraio, il Consorzio, insieme alle associazioni Cia, Coldiretti, Confagricoltura e Copagri, ha rivolto un forte appello al Ministero dell’Agricoltura affinché sia dato seguito agli accertamenti condotti nei mesi passati dai carabinieri forestali e dall’Ispettorato Repressione Frodi, che hanno confermato casi di utilizzo irregolare dei nomi nelle etichette delle olive presenti in commercio. Alla lettera, portata in Commissione agricoltura dall’onorevole Mirko Carloni, aveva risposto il sottosegretario Luigi D’Eramo, confermando che il Governo si sarebbe impegnato nel rivedere le modalità di controllo.

Simone Ferraioli, Assindustria Ascoli Piceno

La cosa, però, non è piaciuta agli industriali ascolani che tramite il presidente dell’Assindustria provinciale, Simone Ferraioli, hanno contestato la rigidità di regole. Per Ferraioli, «la Dop protegge solo il prodotto, non la tradizionale ricetta marchigiana, che resta patrimonio di tutti. Il Consorzio, invece, tenta di monopolizzare la ricetta, violando la normativa UE».

Inoltre, esiste un netto divario tra la domanda e la reale disponibilità di olive tenera ascolana destinate alla trasformazione. «Il fabbisogno annuale per la sola provincia di Ascoli Piceno – ha spiegato nei giorni scorsi – sarebbe di due milioni e trecentomila kg di oliva tenera ascolana annui, ovvero 23.000 quintali di olive verdi da destinare alla produzione/trasformazione in olive all’ascolana, a fronte dell’attuale disponibilità reale di oliva tenera Dop pari a meno di 100 quintali l’anno. In sintesi, il prodotto attuale copre meno dello 0,5% del necessario, ed occorrerebbero almeno altri 2200 ettari di terra piantumata con oliva tenera, che andrebbero a regime tra 10-15 anni, in non meglio precisate praterie che in 20 anni il consorzio non ha mai trovato».

Primo Valenti Consorzio di Tutela Oliva Ascolana del Piceno Dop

Replicando alle accuse mosse da Ferraioli, che ha messo in discussione il ruolo stesso del consorzio accusandolo di andare contro le norme europee, il presidente del Consorzio di Tutela dell’Oliva Ascolana del Piceno Dop, Primo Valenti, ha tenuto a precisare che «la questione riguarda solo il nome del prodotto in etichetta che a tutela del consumatore deve essere “olive farcite” o olive ripiene” e non può descrivere come ascolana una oliva che non lo è, ciò solo perché esiste la DOP». Una posizione sposata in pieno ancora una volta da Confagricoltura, Cia e Copagri: «Non siamo contro l’industria – hanno spiegato in un comunicato del 6 marzo – ma riteniamo ingiusto utilizzare impropriamente un nome con l’intento di confondere il consumatore e penalizzare di conseguenza il mondo agricolo».

Nel botta e risposta delle varie parti – nel mezzo anche interrogazioni in regione, in parlamento, e altre varie prese di posizioni – si registra l’appello dell’assessore regionale all’Agricoltura, Andrea Maria Antonini, per trasformare l’oliva tenera ascolana in un motore di crescita per il Piceno e l’intera regione Marche, superando inutili divisioni e conflitti. Antonini ha ricordato di aver avviato da inizio anno una serie di interventi strategici per incentivare la coltivazione di questa preziosa risorsa. Tra le iniziative principali, l’incremento degli aiuti per nuovi impianti di oliveti DOP-IGP, che raggiungeranno fino al 65% del finanziamento previsto dal piano complementare allo sviluppo rurale (CSR). Tale misura verrà applicata sia nel prossimo bando giovani che in altri strumenti di finanziamento successivi.

Ultima in ordine di tempo, la posizione di Food Brand Marche, l’associazione produttori dell’agroalimentare Marche, che dalla sua sede di Jesi, oggi, ha fatto sapere di condividere in toto la posizione del Consorzio di Tutela. «L’Oliva Ascolana del Piceno sia in salamoia che ripiena è una Denominazione di Origine Protetta – ha spiegato il presidente Antonio Centocanti – Come tale è tutelata sia a livello nazionale che a livello europeo da qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto per prodotti che non godano di analoga tutela, anche quando l’uso di parte della Denominazione di Origine Protetta sfrutti, indebolisca, svigorisca o danneggi la reputazione del prodotto protetto in quanto Dop», ha spiegato il presidente Antonio Centocanti.

Centocanti ha ribadito l’importanza delle produzioni Dop la cui finalità, a beneficio di produttori e consumatori, consiste nell’individuazione dell’origine delle produzioni e nella tutela delle caratteristiche produttive in grado di qualificarle. «Come da giurisprudenza ormai consolidata in sede europea in tema di evocazione di un’indicazione geografica – ha proseguito – il consumatore, quando il nome di un prodotto DOP viene utilizzato anche solo parzialmente nell’identificazione di un diverso prodotto, è facilmente portato a fare riferimento a quello a denominazione protetta, che come tale gode legittimamente di una tutela speciale». Questo, secondo Food Brand Marche ha come conseguenza un duplice pregiudizio: «da una parte, per i produttori e gli attori dell’intera filiera, che vedono vanificata la chiarezza distintiva del riferimento geografico, e dall’altra per il consumatore stesso, che viene facilmente indotto quantomeno in confusione nel momento in cui, davanti allo scaffale, opera consapevolmente la propria scelta».