ASCOLI – Restò a Pescara del Tronto, davanti la sua casa distrutta dal sisma per 5 mesi. Avendo come riparo solo una tenda, nella quale si era sistemato, proprio nella zona rossa del paese. Non furono sufficienti a smuoverlo neppure le parole di Papa Francesco, o dello stesso Capo dello Stato, Sergio Mattarella. Lui non volle andarsene, per tutto il 2016. Fino a quando non furono i Carabinieri ad arrestarlo e a farlo sgomberare dal suo luogo natio.
Era il 30 gennaio 2017, ed Enzo Rendina fu costretto con la forza a lasciare la sua amata casa, ormai lesionata. Ma l’incontro con i sei Carabinieri che dopo la diffida inviatagli dal sindaco di Arquata del Tronto, Aleandro Petrucci – scomparso da poco – dovevano portarlo in una stanza d’albergo predisposta per lui, non fu una passeggiata. Tanto che il montanaro coriaceo e irriducibile tentò di resistere ed evitare il trasferimento. Naturalmente senza successo.
Rendina fini anche per due giorni nel carcere di Marino del Tronto: per lui una vera umiliazione. Dopo quella prima battaglia personale persa, l’uomo ha subito un processo che ora si è concluso con la condanna a cinque mesi (pena sospesa) per resistenza a pubblico ufficiale e interruzione di pubblico servizio, da parte del Tribunale di Ascoli.
L’arquatano si è sempre dichiarato innocente, e il suo legale, l’avvocato Francesco Ciabattoni, ha sempre sostenuto che il comportamento del suo assistito era dovuto ad un forte stato di depressione. Ma neanche dei certificati medici hanno evitato che fosse condannato.
«Sono addolorato, perchè questo calvario non finisce mai», ha commentato Rendina l’esito del processo. Il suo legale si riserva di presentare ricorso in appello.