SAN BENEDETTO DEL TRONTO – È il 1943 e il futuro generale Carlo Alberto Dalla Chiesa si trova a San Benedetto del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno, nelle Marche. È una storia che parte da lontano, quella sulla Resistenza di Dalla Chiesa, che – dopo aver combattuto con successo il terrorismo brigatista – verrà assassinato dalla mafia, a Palermo, dove era stato nominato Prefetto.
A ripercorrere quegli anni, è Pietro Perini, figlio di Spartaco e attuale presidente dell’Anpi di Ascoli (l’Associazione nazionale partigiani italiani). Spartaco Perini condivise la clandestinità col generale Dalla Chiesa, condannato a morte in contumacia dai nazifascisti. Ma andiamo con ordine…
Pietro, come scoprì il legame tra suo padre (morto nel 2001) e il generale Dalla Chiesa?
«Forse, era una domenica del 1976. L’allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini, sarebbe venuto ad Ascoli per visitare il sacrario partigiano di Colle San Marco. Squillò il telefono e risposi io. Dall’altra parte, una voce maschile chiedeva se la mia fosse casa Pertini (con la ˈtˈ)».
E lei?
«E io risposi che sbagliavano numero, ma l’interlocutore insistette. Chiese di Spartaco Pertini e io, scettico, passai la cornetta a mio padre, dicendogli che secondo me si trattava di uno scherzo. Papà rispose e scoppiò in lacrime. Era la prima volta che lo vedevo piangere. Mi fece cenno di andarmene e stette mezz’ora al telefono».
Chi c’era dall’altra parte della cornetta?
«Il generale Dalla Chiesa: chiamava da Milano per dire che se Pertini visitava quei luoghi, era grazie a mio padre e a lui. Dopo, chiesi spiegazioni a papà, che iniziò a raccontarmi tutta la storia».
La racconti anche a noi…
«Dalla Chiesa, nel ’43, comandava la stazione dei carabinieri di San Benedetto del Tronto. I nazisti volevano arrivare a San Benedetto da Ancona (dove si trovava un grosso distaccamento tedesco)».
Cosa volevano fare?
«Requisire i pescherecci e trasformarli in dragamine. Dalla Chiesa era l’unico a sapere del piano e lo mandò a monte, facendo prendere il largo alle imbarcazioni nella notte. Così, quando i tedeschi arrivarono non trovarono alcun motopeschereccio in porto».
Prosegua…
«I nazisti intuirono subito che era stato il Dalla Chiesa a mandare in fumo i loro piani, anche perché era l’unico ad esserne a conoscenza. Carlo Alberto fu dunque dichiarato contro il regime nazifascista e condannato a morte in contumacia».
Quindi, la fuga…
«Esatto. Il giovane carabiniere trovò riparo in Abruzzo, a Martinsicuro, in casa Corsi. Lì, lo raggiungerà mio padre, Spartaco. Che, reduce dalla Russia, si salvò dall’imboscata dei nazifascisti a Colle San Marco, dove si svolse una battaglia campale tra partigiani e tedeschi. Nella soffitta dove erano nascosti c’erano papà, il generale e il principe Ruffo di Calabria, tutti in clandestinità».
Se dico Brindisi?
«Mio padre contribuì a salvare il generale. Difatti, con l’aiuto di alcuni pescatori (amici dei Corsi) organizzò un imbarco alla foce del Tronto, a Martinsicuro. Partirono su una tartana verso Brindisi papà, il generale e il principe. In Puglia, Dalla Chiesa ritroverà il padre e ospiterà per due mesi il mio».
Suo padre, di lì a poco, sarebbe diventato uno 007.
«Esatto, papà conobbe l’allora presidente del consiglio Badoglio, al quale raccontò della battaglia di San Marco. Il capo del governo rimase così colpito che nel ’44 gli chiese di entrare a far parte dell’IS9 britannico, l’intelligence inglese, e mio padre divenne lo 007 che smantellò la rete di spionaggio tedesca del centro Italia».
Il generale Dalla Chiesa venne assassinato nell’82. Cosa ricorda?
«Che mio padre non parlò per una settimana. E intanto io pensavo che sarei stato mandato a fare il militare a Caserta».
In che senso, scusi?
«Era l’82: i rapporti tra la mia famiglia e il generale erano ripresi. Noi ad Ascoli e lui ai vertice dell’Arma dei Carabinieri in giro per l’Italia. In quel periodo, io venni chiamato per il servizio militare a Caserta e chiedemmo al generale se fosse possibile rimanere ad Ascoli, in modo da aiutare nell’attività di famiglia. Dalla Chiesa disse ˈVedrò cosa posso fareˈ, ma verrà mitragliato prima di darmi una risposta».
Lei doveva partire il 9 settembre ’82, il generale morì il 3…
«Mi rassegnai e la mattina del 9 andai alla stazione di Ascoli. Mi si avvicinò una camionetta dell’esercito e il sergente che scese chiedeva di Perini. Mi voltai e mi disse di un fonogramma con un cambio di destinazione. Sarei rimasto ad Ascoli».
Secondo lei, fu opera del generale?
«Sì, fu una delle ultime cose che fece prima di morire».