Momento d’oro per l’oliva ascolana, l’eccellenza gastronomica tipica della città di Ascoli Piceno. Gradite anche da Fiorello che il 1 dicembre non si è fatto pregare un attimo nell’assaggiare un vassoietto di “zocca” di olive, offerto da una fan ascolana, Katja Galanti, mentre il popolare conduttore di Viva Rai2 salutava il pubblico alle transenne del Foro Italico di Roma dove si gira lo show.
Sempre le olive ascolane sono protagoniste di una nuova videoricetta proposta da Giallo Zafferano . «Le regine degli aperitivi, vanto e delizia della tradizione marchigiana, arrivano nelle cucine di Giallozafferano: ecco le olive ascolane in versione classica e vegetariana, preparate dalle abilissime mani della chef Gabriella Calvaresi del Ristorante “Siamo Fritti” di Ascoli Piceno!», fa sapere il celebre blog di ricette. Gabriella ha proposto due versioni, tradizionale e vegetariana.
Le olive all’ascolana sono uno dei piatti più rappresentativi della cucina marchigiana. La loro realizzazione prevede l’uso di olive ascolane tenere del Piceno Dop, generalmente conservate in una salamoia particolare, farcite da un composto tenero a base di carne. Si accompagnano spesso ad altre fritture di carne e verdure (il fritto misto all’ascolana prevede carciofi, zucchine e cotolette d’agnello) e crema fritta.
La storia del suo ingrediente principale inizia nell’antica Roma, dove preparato in salamoia, rappresentava uno dei pasti dei legionari romani. Appartengono alla varietà dell’Olea europea sativa, detta anche Liva da Concia, Liva Ascolana o Liva di San Francesco. Di queste olive scrissero Catone, Varrone, Marziale e Petronio, che nel suo Satyricon racconta di come fossero sempre presenti sulla tavola di Trimalcione.
La ricetta come la conosciamo noi oggi sembra essere datata intorno al 1800. Si narra che l’idea delle olive ripiene sia nata per la necessità, da parte dei cuochi delle famiglie ricche, di consumare le notevoli varietà e quantità di carni a disposizione. Grandi estimatori dell’oliva all’ascolana furono Giacomo Puccini e Gioacchino Rossini che se le faceva spedire a Parigi. Giuseppe Garibaldi ebbe modo di assaggiarle, sia in salamoia e sia ripiene, il 25 gennaio 1849, durante il suo breve soggiorno ascolano. Il generale ne rimase colpito e tentò di coltivare a Caprera le piantine avute dal suo fedele amico Candido Augusto Vecchi, ma non riuscì nell’intento.