Simona Ripari, attrice tra teatro e cinema, con le radici ben forti sulle Marche. Originaria di Porto Sant’Elpidio (Fermo) questa giovane artista sta consolidando la sua carriera in ruoli sempre più interessanti. Classe 1988, diploma in recitazione e laurea in Lettere Musica e spettacolo, questa giovane artista sta consolidando la sua carriera con ruoli sempre più interessanti, ed è, tra l’altro, una doppiatrice molto apprezzata. Nel 2017 vince un premio come miglior attrice non protagonista per il ruolo di “Chicca” nello spettacolo “Ti amo… o qualcosa del genere”. Nel 2019, la sua città natale le ha conferito il premio di “Donna dell’anno” per la categoria cultura. È stata diretta dal regista Francesco Amato nel corto “Di che morte morire”. Ha lavorato come acting coach per il cortometraggio “Pinguini” al fianco del regista Daniele Gaglianone. Tra i suoi ultimi lavori, lo spettacolo teatrale “Schiaccianoci” nel ruolo coprotagonista di Marie, regia di Gabriele Claretti, ed il docufilm “Gaspare Spontini- Celeste amore”, nuova produzione della casa indipendente SubWay Lab di Jesi, dove è protagonista nel ruolo di Celeste Erard al fianco di Lodo Guenzi nei panni del grande compositore marchigiano. È cofondatrice e amministratrice del gruppo “Mujeres del Cinema Marche”.
Simona, ti abbiamo visto, recentemente, vestire gli abiti di Celeste Erard nel docufilm su Gaspare Spontini. Che idea ti sei fatta di questa donna straordinaria, e cosa hai messo di tuo in questo personaggio?
«Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna, si dice… è sicuramente il caso di Celeste Erard! Spontini non sarebbe stato Spontini senza l’aiuto del suo grande amore. Non conoscevo la figura di Celeste Erard prima di lavorare al film, è stato un enorme piacere scoprire e imparare la storia di questa donna così speciale. Diciamo che mi è stata simpatica da subito! Una giovane intelligente, vivace, cresciuta nell’agio delle corti; era sempre desiderosa di apprendere con umiltà da tutte le personalità importanti e dagli artisti che incontrava. Gaspare Spontini, molto più grande di lei, l’aveva conquistata e insieme hanno vissuto una vita incredibile. Dopo la morte di lui lei ha continuato una vita piena, portando a termine tante opere, tanti progetti, molti rivolti ai bisognosi, agli abitanti di Maiolati a cui tanto era legata.
Mi affascinano i personaggi che hanno vissuto una vita piena di spiritualità, Celeste Erard era molto credente e devotissima alla Madonna. Bellissimo che, abituata al lusso, preferisse vivere in un paesino di collina come Maiolati. Non credo, contrariamente a quanto più comunemente si dice, che lei abbia vissuto all’ombra di suo marito e in funzione di lui. Credo che la sua luce fosse ben visibile a tutti, anche se non amava prendersi meriti e riconoscimenti. Credo che sia stata una donna libera di scegliere consapevolmente, libera di fare quello che più desiderava per essere felice; era emancipata in questo, anche stare vicino ad un uomo che poteva tradirla è stata una scelta presa con coscienza».
Facciamo un tuffo nel passato? Quando hai deciso, e perché, di fare l’attrice?
«Ho sempre amato esprimermi con le arti performative sin da bambina, ma all’età di sedici anni, ho iniziato a capire che volevo fare di questa arte il mio lavoro. Il perché non lo so davvero, è stata una vera e propria illuminazione forse… la verità è che fare l’attrice mi permetteva di essere altro da me. L’adolescenza non è stato un periodo semplice e io dentro di me ci stavo davvero stretta. Recitare mi permetteva di vivere altre vite, di essere tante personalità, di sentire tante emozioni diverse, di esorcizzare paure, insicurezze, di allontanarmi da Simona anche se solo per la durata di uno spettacolo. Poi ho smesso di fuggire da me stessa e ho capito che mettere la giusta dose di quello che siamo intimamente nei personaggi che interpretiamo è ciò che rende gli stessi unici e speciali».
Sei marchigiana e nelle Marche hai deciso di vivere, nonostante la tua carriera sia proiettata anche… oltre la siepe leopardiana. Perché questa scelta di campo? Vivere in provincia toglie o aggiunge qualcosa al tuo mestiere?
«Sono residente nelle Marche ma da quasi tre anni vivo parte della settimana nella capitale. Il mio è stato un percorso un po’ all’incontrario… ho iniziato a lavorare prestissimo come cameriera nella mia città, nel frattempo studiavo all’università e mi formavo come attrice. Poi il servizio civile e l’inaspettato inizio del lavoro che avevo da sempre desiderato fare e che spesso ancora oggi mi porta a viaggiare per l’Italia. Ho avuto la fortuna di iniziare nella mia regione, mi sono data da fare e ancora oggi lavoro sul territorio; nonostante ciò dopo qualche anno ho sentito l’esigenza di ampliare i miei studi e le mie conoscenze e così mi sono spostata a Roma per mettere radici anche lì. Questo lavoro è difficile ovunque… Le Marche sono la regione dei teatri storici e offrono tradizione e luoghi di ogni sorta dove poter girare serie e film, ma non solo per questi motivi credo sia importante e prezioso creare artisticamente nel proprio luogo di origine. La provincia dà e toglie allo stesso tempo: si sta in pochi professionisti in poco spazio, si lavora in piccolo ma non per questo non si fanno grandi cose. Roma possiede tutto quello che una metropoli può offrire soprattutto dal punto di vista lavorativo, il fulcro del mio settore si trova lì, ma è una grande giungla nella quale bisogna saper sopravvivere. Per me l’arrivo nella capitale è stato fondamentale visto che sono anche doppiatrice e il grande mondo del doppiaggio si trova a Roma».
Cinema, Teatro, tv. Dove batte il tuo cuore?
«Terrence Mann disse Il cinema vi renderà famosi; la televisione vi renderà ricchi; ma il teatro vi farà bene. Il mio cuore ha iniziato a battere per il teatro molto tempo fa proprio perché mi faceva bene, dall’arte del “qui e ora” è cominciato tutto e prosegue tutto visto che è il contesto in cui lavoro con più frequenza; crescendo però con il tempo è maturata in me una nuova sensibilità. In passato avevo la tendenza a voler dare vita a qualcosa di unico, irripetibile, a contatto con lo spettatore, qualcosa che solo a teatro si può fare; oggi invece sento più viva l’esigenza di esprimermi, di recitare storie e personaggi grazie al meravigliosa e potentissima arte del cinema. Quindi posso dire che oggi il mio cuore batte per il cinema e strizza l’occhio alla serialità televisiva e delle piattaforme, perché amo le storie e le immagini che una volta create e raccontate sopravvivranno nel tempo sia nel grande che nel piccolo schermo».
A quali ruoli che hai interpretato sei particolarmente affezionata? E a quali stai lavorando ora?
«Per quanto riguarda il teatro sono molto legata ai personaggi femminili delle opere shakesperiane; grazie al format spettacolo “Shakespeare on the beach” ho avuto il piacere di essere Lavinia, Giulietta, Calpurnia, Desdemona, Cordelia, Ecate, Caterina, Porzia, Beatrice, Rosalinda, Imogene e poi c’è Ariel. Amo gli animali, da piccola li imitavo alla perfezione, il cavallo è una mia passione e anni fa mi sono trovata ad interpretare la Giumenta nell’adattamento teatrale del romanzo “La fattoria degli animali” di G.Orwell, è stato un intenso lavoro soprattutto fisico. Mi diverto molto con i personaggi maschili, Sergèj Aleksandrovič uscito dalla penna di Dostoevskij mi manca moltissimo. In “Schiaccianoci” ero Marie sia piccola che adulta è stato emozionante vivere il passaggio di età in scena.
Per quanto riguarda il cinema sono legata a L’Idealista, uno dei personaggi un po’ grotteschi protagonisti del primo cortometraggio a cui ho lavorato: “Di che morte morire”; uno dei registi mi diceva che ero molto simile a Gioia del film animazione “Inside Out” e io ne ero felicissima. Poi c’è stata Francesca nel cortometraggio “Perle” una ragazza a cui ho dato tantissimo, con lei ho dovuto piangere, ridere, disperarmi… e infine non posso non pensare a Celeste Erard. Presto inizierò a lavorare a nuovi spettacoli, uno di questi tratto da un libro scritto da un’artista marchigiana: due donne in scena e la loro esperienza di vita da raccontare… non posso dare anticipazioni, posso solo dire che sarò una donna gioviale, che vuole alleggerire tutto ciò che appare tragico e pesante, una donna propositiva che vuole ricercare soluzioni anche lì dove tutto appare nero, una con la sindrome del moto perpetuo… quindi un po’ mi somiglia!»
Il mestiere dell’attore sembra molto ‘solitario’, individualista, ma dalla tua bio vedo che ami molto fare rete con le colleghe e i colleghi. Fai parte della sezione Marche di Mujeres nel Cinema, di Unione M.I.A. gruppo di attori marchigiani del settore audiovisivo, e del C.A.M, Coordinamento Artisti della Scena Marchigiana. Tutte esperienze nate nel periodo della pandemia. Che cosa sta accadendo al settore, e quanto conta fare squadra?
« È vero, durante la pandemia i lavoratori dello spettacolo si sono come risvegliati dal torpore in cui erano da anni iniziando insieme a far sentire la propria voce. In tutta Italia sono nati collettivi e associazioni che sono ancora oggi in continuo dialogo con le istituzioni. “L’unione fa la forza” lo credo fortemente, il nostro lavoro è fatto di scambio, di ascolto, di confronto, di gente che cresce e migliora con l’altro; l’artista vero secondo me sa lavorare in gruppo. Il mondo dello spettacolo è spietato si sa e possono esserci invidie e menefreghismi, io posso dire che sono felice di avere diversi amici che sono anche colleghi. A Roma ho un bel gruppo e siamo tutti doppiatori, ci sosteniamo molto a vicenda. Nelle Marche con qualcuno lavoro da tanti anni, anche a casa insomma ci sono delle persone sulle quali posso contare sempre.
Nel mio piccolo ho cofondato il gruppo Mujeres nel Cinema Marche che fa capo all’associazione Mujeres nel Cinema, uno spazio on line di vario utilizzo e totalmente dedicato alle professioniste del settore audiovisivo che sono legate alle Marche. C’è ancora tanto lavoro da fare, ma con Unione M.I.A. ad esempio, noi attori marchigiani siamo riusciti ad ottenere la presenza di un database con i nostri profili all’interno del sito della nostra Film Commission, uno strumento utilissimo per le produzioni; in C.A.M. invece si sta lavorando per portare in regione proposte concrete per la cura dei teatri e quindi di tutte quelle piccole realtà professionali che nelle Marche si occupano di spettacolo dal vivo. In Italia stiamo vivendo un periodo delicatissimo… Sono mesi di scioperi e assemblee.
Nel mese di marzo la filiera del doppiaggio si è fermata per tre settimane. Ci si batte per una causa che interessa l’intero settore audiovisivo, che oggi più che mai dovrebbe dimostrare di essere compatto, unito. Anche le troupe cinematografiche hanno scioperato per un giorno. In Italia i lavoratori del settore audiovisivo aspettano da mesi che venga rinnovato loro il contratto collettivo nazionale, rimasto fermo al 2008. Si lavora senza tutele adeguate al presente che stiamo vivendo. Gli attori italiani sono gli unici in Europa a non avere un contratto collettivo di categoria che stabilisca diritti, doveri e minimo salariale! A questo si aggiunge per chi è doppiatore il problema delle multinazionali che hanno acquisito i più importanti studi di doppiaggio italiani e in nome del profitto, costringono i lavoratori a ritmi assurdi a discapito della qualità del prodotto (un film che prima si doppiava in un mese ora deve essere consegnato in una settimana) e poi la minaccia dell’intelligenza artificiale che rischia di sostituire le voci degli attori doppiatori… Mi auguro che si arrivi presto ad un accordo soddisfacente per tutti i lavoratori.
A proposito di unioni che fanno la forza, grazie alle associazioni LARA,UNITA, ASA e AMLETA è stato da poco firmato il “Protocollo di linee guida contro abusi e molestie nel provino”, si tratta di linee guida che definiscono la sicurezza dell’ambiente e il rispetto di tutte le parti durante il casting, con questi riferimenti sarà d’ora in poi più facile segnalare eventuali situazioni di abusi e pericolo».