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Studio su acqua ossigenata contro il covid tra dubbi e verità. L’infettivologo Giacometti: «Difficile da applicare»

Fioriscono le ricerche a caccia di sostanze utili nella battaglia contro il coronavirus. Il punto con il primario della Clinica di Malattie Infettive degli Ospedali Riuniti di Ancona

Andrea Giacometti, professore di Malattie Infettive e Pneumologia presso l'Università Politecnica delle Marche

ANCONA – Si impennano i casi di infezione da covid-19 e i riflettori sono sempre di più puntati sui nuovi studi relativi alle potenziali armi a disposizione per cercare di contrastare la pandemia. Nel fiorire di queste ricerche, si incasella anche l‘indagine condotta da alcuni ricercatori napoletani i quali hanno affermato l’utilità dell’acqua ossigenata nella profilassi contro il coronavirus.

Secondo i ricercatori, infatti, se utilizzata tramite sciacqui regolari per la disinfezione delle mucose del naso e di quelle orofaringee, ovviamente facendo attenzione a non ingerirla, potrebbe essere in grado di aggredire il virus nella fase in cui è ancora presente nel muco delle cellule epiteliali e quindi prima che abbia raggiunto la trachea. Una ricerca che si è guadagnata un posto sulla rivista internazionale Infection Control & Hospital Epidemiology della Cambridge University.

Gli studiosi hanno scoperto che il covid-19 prima di scendere nella trachea, circa due giorni dopo l’infezione, stazionerebbe nella mucosa delle cellule epiteliali della bocca. Ecco perché con sciacqui della mucosa orale, eseguiti almeno tre volte al giorno, alla concentrazione del 3%, uniti alla nebulizzazione delle cavità nasali all’1,5% e all’impiego di un collirio a base di iodopovidone allo 0,6% (da mettere 2 volte al giorno), potrebbe avere una efficacia nella prevenzione dell’infezione del covid-19.

«In effetti il perossido di idrogeno a bassa concentrazione – spiega il primario della Clinica di Malattie Infettive degli Ospedali Riuniti di Ancona Andrea Giacometti – è usato da tempo in otorinolaringoiatria e la tollerabilità di queste basse concentrazioni (di solito non superiori all’1,5%) la dimostrano gli stessi autori mediante foto ottenute al microscopio elettronico dove viene esaminata la mucosa orale trattata per 6 mesi con gargarismi di acqua ossigenata (anche se non specificano per quanti minuti al giorno)».

Ma sul collirio a base di iodopovidone, l’infettivologo frena e invita alla prudenza: «Sappiamo che, anche se utilizzato a basse concentrazioni, questo composto tinge i materiali organici, è una conseguenza dello iodio contenuto nella molecola» spiega.

Per il primario da un lato «l’articolo sembra ispirato da una buona idea, per altri sembra peccare di ingenuità: quante volte al giorno e per quanto tempo dovremmo gargarizzare l’acqua ossigenata? E quante volte al giorno dovremmo instillare negli occhi il discutibile collirio allo iodopovidone? Per quanti mesi? In definitiva, come al solito non è difficile trovare qualcosa che uccida il coronavirus, il difficile è poterlo seriamente applicare nella pratica quotidiana e, soprattutto, disporre di seri studi clinici di confronto che dimostrino che il nostro trattamento sia più efficace del placebo».