ANCONA – Due anni fa l’incidente alla banchina 23 della nuova darsena, al porto, dove perse la vita Luca Rizzeri, 33 anni, papà di due bambini e marito. L’agente marittimo fu colpito al collo da una cima di attracco che si spezzò in due. Una frustata tremenda che lo fece morire sul colpo. Lui era al lavoro, aspettava lo scarico di una portacontainer e fu colpito alle spalle da quella corda, senza dargli il tempo di rendersene conto. La Procura ha chiesto ora il processo per il comandante della nave Bf Philipp, un russo di 53 anni accusato di omicidio colposo. L’udeinza preliminare è fissata per il 9 novembre prossimo. Per il pm Rosario Lioniello, che ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio (le indagini furono chiuse lo scorso anno), la velocità del naviglio era eccessiva e la cima completamente usurata.
La tragedia risale al 10 giugno 2019. Rizzeri, dipendente della Adriano e Armando Montevecchi s.n.c. (la ditta Archibugi), era in attesa di iniziare le operazioni di scarico del naviglio che, proveniente dallo scalo di Trieste. La portacontainer stava attraccando, quando all’improvviso il primo cavo di ormeggio (spring di prora) dell’imbarcazione, in tensione, si è spezzato al momento dell’aggancio. La frustata dietro il collo dell’agente marittimo lo ha fatto morire sul colpo. La Procura aveva subito aperto un fascicolo iscrivendo inizialmente quattro persone nel registro degli indagati dove poi è rimasto solo il comandante.
Decisiva la consulenza tecnica disposta dal pm e affidata all’ingegnere meccanico e navale Pasquale Frascione, con particolare riferimento alle conclusioni sul cavo sintetico, posto immediatamente sotto sequestro, il cui esame, ha concluso il Ctu, ha evidenziato «gravi ammaloramenti su tutta la sua lunghezza, soprattutto nel punto di rottura e le prove di trazione di tre campioni hanno dato come risultato carichi di rottura che confermano lo stato della cima e che sono notevolmente inferiori a quelli previsti per un cavo dello stesso tipo e delle stesse dimensioni. Il cavo si è rotto perché sollecitato da uno sforzo di trazione prodotto dal movimento della nave che non era in grado di sostenere». L’imbarcazione avrebbe approcciato la banchina con moto decrescente «ma ancora con velocità superiore a zero nella fase finale di ormeggio e che il cavo è stato passato alla bitta mentre essa era ancora in movimento».
La moglie di Rizzeri, fa sapere lo Studio3A a cui la famiglia si è rivolta per le tutele legali, confida di ricevere una risposta forte dalla giustizia penale per la terribile perdita subita, ma anche che questo punto fermo dell’inchiesta porti finalmente i soggetti coinvolti, con particolare riferimento alla società armatrice della nave, ad assumersi le loro responsabilità anche sul fronte risarcitorio. Da più di due anni la vedova e i suoi due figli minori stanno ancora aspettando di essere equamente risarciti.