ANCONA – Esposto denuncia in Procura della Lega per l’Abolizione della Caccia contro la disposizione che consente ai cacciatori di spostarsi al di fuori del proprio Comune di residenza per la caccia al cinghiale. L’associazione animalista lo ha presentato indirizzandolo anche al presidente del Consiglio dei ministri, ai ministri della Salute e dell’Ambiente, all’Istituto Superiore di Sanità e al Prefetto di Ancona.
La Lac contesta alla Regione Marche «la violazione dell’articolo 452 del codice penale (Epidemia colposa)» per gli spostamenti fuori dal Comune di residenza permessi ai cacciatori «con nota della Prefettura di Ancona del del 19/11/2020» come si legge nell’esposto. A sollevare le ire dell’associazione animalista è il fatto che questi spostamenti avvengano «in regime covid» consentendo a chi pratica l’attività venatoria di «raggiungere la zona di caccia dove la propria squadra di appartenenza è autorizzata ad effettuare la caccia al cinghiale in forma collettiva, nelle modalità della braccata e della girata, il recupero degli ungulati feriti e il trasporto e trattamento delle carcasse presso gli appositi centri di raccolta, nel rispetto della normativa di settore».
L’associazione animalista evidenzia che nelle Marche sono operative circa 200 squadre di caccia al cinghiale e che ogni squadra è composta da un minimo di 20-40 persone fino ad un massimo di 80 cacciatori, con partecipanti che possono venire anche da altre regioni, «senza alcuna possibilità di controllo e di tracciamento, con il concreto rischio quindi di importazione o esportazione di contagi e di ulteriore diffusione della pandemia». Una situazione che secondo la Lac comporta la «inevitabile violazione delle norme sul distanziamento, la formazione di assembramenti, ed il fondato rischio di creare focolai di contagio, pericolosi per i cacciatori direttamente interessati, ma anche per i loro familiari, amici, conoscenti, colleghi di lavoro, persone che incontrano nei loro continui spostamenti, anche di lungo e lunghissimo raggio».
Secondo l’associazione animalista la caccia al cinghiale è quella a «più elevato rischio di incidenti» tanto che «nella stagione di caccia 2019/2020, si sono registrati ben 27 morti e 68 feriti». «Mentre la stragrande maggioranza degli italiani è costretta, a causa dall’emergenza del coronavirus, a forti limitazioni della propria mobilità e libertà personale – dichiara il delegato Lac Danilo Baldini –, stiamo assistendo ad una “interpretazione” del tutto arbitraria da parte delle Regioni, tra cui le Marche, dei vari Dpcm e Decreti ministeriali anti-Covid. Infatti, le Regioni stanno privilegiando una èlite di persone permettendo loro di spostarsi liberamente e indisturbata, al di fuori del proprio comune di residenza, ma anche da Regione a Regione, alla faccia di tutti gli altri cittadini».
Secondo il delegato Lac, i rischi di diffusione del virus fra i cacciatori «sono molto alti poiché nella braccata e nelle forme di caccia collettiva, i cacciatori arrivano in gran numero nei posti prestabiliti, si riuniscono, discutono, entrano in stretto contatto tra loro e di conseguenza possono veicolare il virus». Inoltre evidenzia che quando devono prelevare le carcasse degli animali uccisi, che pesano «più di un quintale, sarà molto difficile per loro mantenere le distanze di sicurezza o indossare le mascherine. Senza considerare poi anche la successiva fase della macellazione. Bisogna poi tenere conto che la maggior parte dei cacciatori sono ultrasessantenni, una categoria quindi particolarmente sensibile al rischio di contrarre il covid-19, peraltro con esiti spesso letali».
Baldini sostiene che braccata e girata non hanno «nulla a che vedere con il controllo faunistico e con i cosiddetti “piani di contenimento numerico” dei cinghiali» esercitabili con metodi ecologici: la caccia al cinghiale nella forma della braccata e della girata secondo Baldini è una attività venatoria «prettamente voluttuaria e ludica, senza alcuna necessità ed urgenza, ed evidentemente non rientrante tra le attività autorizzate a muoversi senza limitazioni». Una attività di caccia «programmata» e «regolamentata ogni anno dai calendari venatori, esercitata da comuni cacciatori, senza alcuna specializzazione nella selezione e nel controllo».
Un metodo, che secondo Baldini, oltretutto non è utile a limitare la diffusione della popolazione di cinghiali, anzi avrebbe l’effetto esattamente opposto, provocandone quindi una maggiore diffusione. Numerosi studi scientifici e censimenti faunistici hanno dimostrato che è proprio la caccia, soprattutto quella effettuata nella forma della braccata, che è la meno selettiva, a determinare al contrario un’esplosione demografica nella popolazione dei cinghiali, causando anche una maggiore dispersione e diffusione della specie sul territorio».