ANCONA – Se c’è una spia degli effetti deleteri del cambiamento climatico sul mondo vegetale e animale, questa è rappresentata dalle api e, più in generale, dagli impollinatori, vere e proprie sentinelle del perfetto e, allo stesso tempo, fragile equilibrio dell’ecosistema. Dagli impollinatori dipende infatti oltre il 70% della produzione agricola per la nostra alimentazione.
Le temperature sempre più elevate che si registrano d’estate a causa degli anticicloni africani che si susseguono e gli inverni miti disorientano e minacciano la sopravvivenza di questi preziosi insetti. Le api, ad esempio, con temperature sopra i 10 gradi, come quelle che si sono registrate lo scorso gennaio, entrano in attività ed escono dalle loro arnie per raccogliere nettare e polline che però non trovano nelle giuste quantità di cui necessitano, perché la primavera è ancora lontana e le piante non sono in piena fioritura. Questo comporta una dispersione di energia che si traduce una maggiore necessità di nutrimento e quindi nella minore produzione di miele, spiega Sara Ruschioni, professoressa di entomologia, presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università Politecnica delle Marche.
«Il cambiamento climatico sta rovinando la stretta sincronizzazione esistente tra regno animale e regno vegetale – spiega – e l’effetto è visibile nella diminuzione della biodiversità degli apoidei, che, a macchia d’olio, si ripercuote su tutto l’ecosistema». Modificazioni che la docente coglie grazie anche all’osservazione dell’apiario didattico presente all’Ateneo dorico, un punto di osservazione e di studi privilegiato per studenti del nuovo corso universitario in Apicoltura e impollinazione.
«Gli impollinatori – spiega – sono gli insetti più vulnerabili al cambiamento climatico perché sono in coevoluzione con le piante da oltre 100 milioni di anni. Insetti e piante collaborano e “comunicano” tra loro, c’è una sorta di coevoluzione e simbiosi mutualistica – aggiunge – e la mancata sincronia tra questi due regni causa una riduzione dell’impollinazione, che a sua volta genera anche un calo nella produzione agricola».
Il global warming, riscaldamento globale, ha causato una «drastica diminuzione» delle api domestiche e selvatiche, dal momento che gli impollinatori apoidei (api solitarie e api da miele), dipendono strettamente dalle piante e se non trovano polline e nettare non riescono a nutrire la prole. Un primo segnale degli effetti del cambiamento climatico, infatti, arriva dalla produzione di miele che si riduce drasticamente.
«Cosa vediamo dalle api in questa fase? Vediamo che effettivamente sono in crisi, sono più fragili perché non trovano polline e nettare nei tempi giusti e ne trovano di meno perché anche le piante sono in stress.
Ma il cambiamento climatico non è il primo ed unico problema.» spiega Ruschioni «In testa c’è una cattiva gestione del mondo agricolo, con diminuzione di biodiversità e un utilizzo dei pesticidi non razionale».
Anche la siccità impatta sulla vita delle api che hanno bisogno di questo prezioso liquido per termoregolarsi. «Le api utilizzano l’acqua per diminuire la temperatura del nido, azione fondamentale per la sopravvivenza della famiglia» spiega «ma con questo caldo sono costrette a ricercarne di più a discapito del nettare e, trovandola con difficoltà, producono ancora meno miele»..
A soffrire anche dei mutamenti climatici, oltre che ad altre concause provocate dall’uomo, non sono solo gli impollinatori, ma, più in generale, tutti gli insetti. La docente, infatti, spiega che «in 50 anni abbiamo perso più del 40% di insetti, un dato globale ma che ci deve far riflettere sul fatto che se continuiamo su questa strada diminuiranno ancora: gli insetti sono alla base di tutto, dall’impollinazione all’importante regolazione di molti processi naturali come la trasformazione sostanza organica».