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Case green, ecco il primo via libera della commissione del Parlamento europeo. Il parere degli esperti

Caravaggi: «Serve una nuova politica per l'abitare». Capannelli: «Pensare anche al dissesto idrogeologico»

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(Foto di repertorio tratta da Pixabay.com)

ANCONA – Torna d’attualità il tema delle case green, ovvero a risparmio energetico e zero emissioni. Il 15 gennaio è arrivato il primo sì della commissione del Parlamento europeo (commissione Industria, ricerca, telecomunicazioni ed energia) alla bozza di accordo (Energy performance of buildings directive). Anche se il testo deve ancora passare al vaglio della plenaria, intanto si sta delineando lo scenario: i paesi membri dovranno definire piani per raggiungere la riduzione dei consumi delle abitazioni.

In pratica la deadline per il completamento del percorso a zero emissioni sarebbe fissata entro il 2050, ciò vuol dire che nell’arco di 26 anni le abitazioni dovrebbero essere adeguate dal punto di vista energetico, un traguardo meno lontano di quanto sembra. Cosa ne pensano i professionisti della questione e come si intreccia questo tema con quello del Superbonus? Lo abbiamo chiesto a Viviana Caravaggi, presidente dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della provincia di Ancona e coordinatrice regionale della Federazione, e a Stefano Capannelli presidente dell’Ordine degli ingegneri della provincia di Ancona.

Viviana Caravaggi

«Finalmente si è raggiunto un nuovo accordo della direttiva europea per le case green – dice Viviana Caravaggi – rispetto al precedente sicuramente più ammorbidito: ad esempio non sono più obbligatori i fotovoltaici su tutti gli edifici e ogni stato membro avrà la possibilità di scegliere come applicare e far ricadere queste misure all’interno del proprio territorio e delle proprie normative».

«Fondamentale attenzionare» per la presidente dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della provincia di Ancona «il fatto che l’Italia ha una struttura edilizia e urbanistica molto differente dal resto d’Europa, con un patrimonio edilizio storico, di pregevole fattura, che deve essere tutelato e valorizzato, quindi anche l’applicazione di una normativa chiara, certa e semplice, è fondamentale per riuscire a raggiungere gli obiettivi che ci sta imponendo l’Europa».

Secondo Caravaggi la riqualificazione energetica «non solo è necessaria per contenere i consumi, ma va fatto anche un piano strategico nazionale per la ristrutturazione, soprattutto comprendendo e cercando di chiarire come affrontare un patrimonio edilizio che per l’85% in Italia è in mano a proprietari privati». Serviranno quindi «incentivi finanziari e una nuova politica politica per la casa e per l’abilitare al fine di una nuova riqualificazione energetica e perché no anche sismica» delle abitazioni da realizzare «attraverso una programmazione che va affrontata – conclude Caravaggi – con tutti gli addetti ai lavori».

Stefano Capannelli

«ll tema è di grande attualità si interseca anche con quello, molto discusso, dei benefici fiscali – dice Capannelli -. Secondo il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, occorre prendere coscienza che la direttiva Europea EPBD che tratta il risanamento energetico degli edifici europei imporrà il doppio salto di classe energetica a milioni di abitazioni in un arco temporale molto breve».

Il presidente dell’Ordine degli ingegneri della provincia di Ancona evidenzia che «stime effettuate dal Centro Studi CNI, tenendo conto del censimento Istat sulle abitazioni, portano a ritenere che entro il 2033 dovrebbero passare dalle classi più energivore (G,F ed E) alla classe D, 13,4 milioni di alloggi occupati da residenti (sono escluse le così dette case vacanza). Secondo altre stime dovrebbero essere sottoposte a risanamento energetico entro il 2033 più di 9 milione di edifici».

Per Capannelli «è impensabile realizzare un piano così ambizioso immaginando che i singoli proprietari degli immobili possano affrontare per intero le spese di ristrutturazione e, d’altra parte, è impossibile pensare che lo Stato possa sostenere per intero un volume di spesa così ingente. Occorre trovare un meccanismo più adeguato, equilibrato ed efficace rispetto a quelli utilizzati finora».

Secondo il presidente degli ingegneri anconetani «occorre considerare anche la fragilità dei nostri territori che hanno bisogno di un piano equilibrato di ricostruzione per la messa in sicurezza del nostro patrimonio immobiliare, anche in relazione alle esigenze legate alla lotta al dissesto idrogeologico. In particolare, da questo punto di vista, sempre secondo i dati del Centro Studi CNI gli edifici in zone alluvionali ad alto e medio rischio sono 2,1 milioni, il 15% del totale. Altro fattore essenziale da considerare rispetto alle fragilità del territorio italiano non comparabili con il resto del Continente europeo, riguarda l’assoluta necessità di un adeguamento o miglioramento sismico degli edifici».