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Coronavirus e ansie economiche, lo psichiatra: «Giovani fra i più esposti al rischio suicidio»

A spaventare non è più solo l'emergenza sanitaria, ma anche quella economica che vede i giovani fra i lavoratori più colpiti e quindi anche più a rischio di sviluppare ripercussioni sul fronte del benessere psicologico

ANCONA – Crescono le ansie e le preoccupazioni scatenate dall’epidemia di coronavirus. A spaventare la popolazione però non è più solo l’emergenza sanitaria, con il timore di essere contagiati, ma ora c’è anche la paura di perdere il lavoro e di finire in povertà. Un timore che serpeggia anche nel mondo giovanile, che insieme alle donne, è fra le categorie di lavoratori più penalizzati dalla crisi scaturita dal lockdown. Oltretutto un recente sondaggio Izu sulle abitudini dei consumatori in vista delle riaperture allo scoccare della fase due, aveva messo in luce che i giovani erano tra i più restii a riprendere le vecchie abitudini consolidate prima dell’avvento del virus, come ad esempio la frequentazione di bar e ristoranti, evidenziando che probabilmente sono stati colpiti più profondamente delle altre fasce d’età.

«Senza dubbio la pandemia e le misure restrittive hanno posto un notevole peso sulla salute psicologica di tutta la popolazione generale, come risulta empiricamente anche da numerose ricerche scientifiche sull’argomento, inizialmente provenienti soprattutto dai Paesi del Sud-Est asiatico, colpiti per primi dall’epidemia, ma nelle ultime settimane anche da studi condotti nei Paesi occidentali» spiega Umberto Volpe, professore di psichiatria all’Università Politecnica delle Marche e direttore della Clinica Psichiatrica degli Ospedali Riuniti di Ancona. A Torrette «abbiamo registrato nelle ultime settimane un aumento dei ricoveri» spiega, precisando che si tratta sia di «riesacerbazione di pregressi quadri clinici che per la comparsa di sindromi correlate allo stress, disturbi affettivi o comportamenti d’abuso».

Ma perché i giovani sono rimasti così scossi? «Dare una risposta specifica rispetto al disagio giovanile è complesso, sia perché non sono ancora disponibili ampie evidenze sistematiche specifiche per questa fascia d’età ma anche perché probabilmente il fenomeno è multideterminato – dice Volpe -. Da un lato, va considerato che le persone giovani sono quelle che tendono ad avere una vita sociale più attiva e quindi è facile ipotizzare che le limitazioni imposte dal distanziamento fisico probabilmente siano state percepite in modo più intenso proprio dalle persone più giovani. D’altra parte, molti altri fattori di differente natura potrebbero essere coinvolti. Da un punto di vista strettamente biologico, ad esempio, è ben noto che la maturazione di alcune aree del sistema nervoso centrale tende a compiersi solo dopo il 24°-25° anno di vita e che le abilità di rimodulazione e controllo del comportamento potrebbero essere meno valide nelle persone più giovani, che quindi potrebbero avere maggiori difficoltà nell’adattarsi alle nuove abitudini sociali».

Lo psichiatra cita un articolo pubblicato recentemente sulla rivista Lancet che sottolinea l’esistenza di una relazione diretta tra status lavorativo e suicidio e che, «proprio a causa dell’epidemia da coronavirus, ci si attende un significativo aumento della disoccupazione a livello mondiale: è facile, pertanto, immaginare che essendo nel nostro Paese proprio le persone più giovani a dover fronteggiare le maggiori difficoltà di inserimento lavorativo siano anche per fattori economici più esposti al rischio di suicidio». Per il professor Volpe esistono «molteplici fattori di stress, specifici per l’età giovanile, che la pandemia da Covid-19 ha probabilmente amplificato».

Stime a livello mondiale, secondo lo psichiatra, «tendono a prevedere un aumento dei suicidi nei prossimi mesi, anche nella fascia di età giovanile, in conseguenza della pandemia. In un famoso articolo apparso anni fa sul New England Journal of Medicine, i ricercatori statunitensi dimostravano che in realtà in tutte le comunità colpite da eventi catastrofici come frane, terremoti e tsunami, si assisteva a un picco di suicidi nei mesi o negli anni successivi».

Insomma, studi che mettono in relazione diretta l’aumento dei suicidi con il peggioramento delle condizioni economiche «che pure è lecito attendersi nei prossimi mesi nel nostro Paese» osserva lo psichiatra. Tuttavia, come sottolinea, «sarà cruciale in tal senso capire quali misure economiche di contrasto alla crisi del lavoro verranno messe in campo, quale risposta sapranno dare i servizi di salute mentale all’emergere di questo potenziale rischio per i giovani e come i genitori sapranno stare vicino ai propri figli, anche individuando precocemente i segnali d’allarme psicologici del suicidio».

Mancanza di speranza per il futuro, non vedere una via di uscita e percezione di un dolore mentale molto intenso, sono tra gli elementi determinanti più comuni dell’ideazione suicidaria secondo lo psichiatra. «Quello che colpisce nel caso dei giovani – spiega – è che questi elementi psicologici siano presenti in un’età che tendiamo ad associare all’idea di una spensierata felicità. Purtroppo, non è così in quanto anche l’età giovanile si accompagna a specifici problemi da affrontare, che non di rado determinano vissuti negativi. Anche prima della pandemia, il suicidio rappresentava la seconda causa di mortalità assoluta nella fascia di età compresa tra i 10 e i 19 anni. In Europa, si stima che avvengano circa 24.000 morti per suicidio tra gli adolescenti e i giovani adulti fra i 15 e i 29 anni».

Tra i fattori di maggior rischio per il suicidio giovanile, il professor Volpe annovera «l’impulsività, l’instabilità dell’umore, l’elevata suggestionabilità, le ridotte abilità di problem solving, un contesto familiare problematico, l’aver esperito eventi di vita particolarmente stressanti. Rispetto a quest’ultimo elemento, senz’altro la pandemia da Covid-19 può costituire un fattore stressante e quindi aumentare il rischio di suicidio tra i giovani».

Secondo lo psichiatra sono ormai molte e autorevoli le proiezioni scientifiche che segnalano inoltre «l’aumento dei problemi di salute mentale nei mesi a venire sia per effetto della pandemia che della quarantena e dell’isolamento sociale in tutta la popolazione. Sono attesi incrementi sia di sintomi aspecifici quali insonnia o ansia generalizzata, che l’aumento dell’abuso di sostanze e comportamenti poco salubri come fumare sigarette o assumere caffeina fino a veri e propri abusi di alcol e sostanze stupefacenti, ma anche di vere e proprie sindromi cliniche specifiche come ad esempio la depressione e correlate allo stress da Covid-19, come la reazione acuta da stress e il disturbo da stress post-traumatico. Al rischio per i giovani di sentirsi particolarmente stressati, isolati o depressi, in questo periodo possiamo sperare si accompagni una maggiore capacità di reagire con resilienza all’emergenza».