ANCONA – Le Marche divise in due dal Coronavirus. Guardando la mappa dei contagi, se da un lato c’è il territorio pesarese dove si registra il maggior numero di contagi, dalla parte opposta c’è la provincia di Ascoli Piceno dove il primo tampone positivo è stato registrato ieri (11 marzo). «Nelle Marche c’è un singolare gradiente nord-sud – spiega Massimo Clementi, primario di Microbiologia e Virologia dell’ospedale San Raffaele di Milano – con Pesaro dove ci sono molti più contagi, Ancona a metà, e meno casi nelle altre province».
Una distribuzione del virus che il virologo definisce «singolare perché non corrisponde a una diffusione italiana: l’Emilia Romagna ad esempio è spezzata, ha tanti casi nella provincia di Piacenza che confina con la Lombardia, mentre Parma, Modena e Reggio Emilia sono un po’ a metà. Un numero minore di casi sono presenti tra Ferrara e Bologna per poi crescere a Rimini».
Insomma una distribuzione del virus, quella delle Marche, che secondo il professor Clementi potrebbe essere approfondita. «Sarebbe utile sequenziare il virus nelle Marche per capire se si tratta dello stesso che sta circolando in Lombardia oppure di un virus un po’ diverso, di un altro focolaio». Il virologo osserva che tra il virus isolato al San Raffaele Milano «interamente sequenziato e disponibile online» e quello isolato dallo Spallanzani di Roma da un paziente cinese che si era infettato in Cina «qualche differenza è osservabile».
Differenze di sequenza nucleotidica, che come spiega Massimo Clementi «potrebbero denotare che nel corso dell’epidemia il virus evolve». Il professore ricorda che nel 2003 quando c’è stata l’epidemia di Sars questa scoppiò nel sud della Cina, poi prima di arrivare ad Honk Kong da dove si diffuse nel resto del mondo, si diffuse in Cina a Pechino, ma «il virus di Pechino era un altro virus rispetto a quello del sud della Cina». A dimostrarlo fu il sequenziamento degli acidi nucleici del virus.
Questo si può riflettere in una maggiore aggressività del virus?
«Questo non si può dire. Sono virus a cui basta poco, un piccolo cambiamento, per modificare il fenotipo, cioè il modo di comportarsi».
Uno studio sostiene che i malati possano reinfettarsi nuovamente con il Coronavirus, è così?
«Non c’è ancora nessuna evidenza di questo. Molto spesso questa infezione, come altre infezioni virali è caratterizzata da un andamento a due fasi: c’è una prima fase di replicazione, poi i sintomi migliorano e il virus si abbassa, successivamente c’è una ripresa e lo stiamo vedendo anche in questa epidemia. Potrebbe essersi trattato di questo, ma non vuol dire che la persona era guarita, piuttosto semplicemente che aveva fatto la prima fase dell’infezione».
Notizia di ieri è che anche l’Istituto di Brescia abbia isolato il virus.
«Stiamo mettendo in piedi una rete di laboratori che lavorano su questo, spererei in un prossimo futuro in una collaborazione anche con la Virologia di Ancona».
Professore in Cina le cose vanno meglio: ci sono buone possibilità anche per l’Italia?
«Confido che le misure prese possano servire anche da noi. Fino ad adesso non c’è stata una grande accettazione e soprattutto rispetto delle misure di evitare gli assembramenti. Anche ad Ancona e a Jesi, come a Milano ai Navigli, i locali erano pieni di ragazzi il sabato sera, questo non doveva avvenire. Ora però mi sembra ci si più consapevolezza. Accettare le misure è un po’ come togliersi il dente malato, ma credo che, come diceva il presidente Conte mercoledì sera, nel giro di un paio di settimane si dovrebbero vedere gli effetti, quanto meno nei numeri dei contagi».