ANCONA – «Dall’inizio dell’anno è calato in maniera significativa il numero dei trapianti». La pandemia di Covid-19 impatta sulle strutture ospedaliere e, oltre a provocare una contrazione dell’attività operatoria, si sta ripercuotendo anche sull’attività dei trapianti d’organo facendo crollare il numero di donatori e di conseguenza quello degli interventi salvavita.
A parlarne è il professor Marco Vivarelli, direttore della Clinica di Chirurgia Epatobiliare, Pancreatica e dei Trapianti degli Ospedali Riuniti di Ancona, che ha portato il reparto ai vertici del panorama nazionale e internazionale del settore.
«Fino a poche settimane fa l’Azienda è riuscita a gestire la pandemia in modo da non ridurre l’attività operatoria, ma da due settimane a questa parte è scattata una contrazione dell’attività operatoria elettiva» spiega il primario. «I trapianti vanno avanti lo stesso, anche se il fatto che le rianimazioni di tutta la regione siano sature di pazienti covid, sta facendo si che ci sia una riduzione del numero di donatori».
Un problema se si considera che ci sono pazienti in attesa di un organo salvavita per i quali il fattore tempo è cruciale. Con gli ospedali alle prese con la terza ondata pandemica e le terapie intensive in prima linea «è meno probabile che vengano segnalati pazienti in stato di morte cerebrale» ci spiega il primario, evidenziando che questa situazione ha causato un «calo molto drastico dei trapianti dall’inizio di quest’anno».
Il professor Vivarelli sottolinea che da gennaio sono stati eseguiti 6 trapianti di fegato e 6 di rene a Torrette, un numero «molto lontano» rispetto a quanto fatto l’anno scorso, quando erano stati eseguiti «53 trapianti, un record per Ancona». Una riduzione che negli ultimi mesi si attesta «intorno al 50% circa, anche se si tratta di dati parziali perché la chirurgia dei trapianti ha flussi imprevedibili».
A presentare il conto non è solo la pandemia, come spiega il professor Vivarelli, parallelamente alla diminuzione dei donatori legata allo stato emergenziale «c’è stato un incremento anche delle opposizioni alla donazione». Una criticità importante, quella dell’assenza del consenso alla donazione, che tradotta in numeri comporta che tra i 3 e i 4 pazienti in morte cerebrale su 10 non possano diventare donatori.
«Una evenienza incomprensibile per chi, come me, vede ogni giorno pazienti costretti a restare in attesa di un organo salvavita, con un orizzonte esistenziale ridotto in maniera drammatica, perché manca un donatore». «Nonostante faccio questo lavoro da trent’anni non mi sono ancora abituato al fatto che ci sono organi di pazienti cerebralmente morti che non vengono donati, nonostante a queste persone purtroppo non servano più, mentre per altri sono preziosi perché possono salvare vite».
Gli ultimi due trapianti eseguiti a Torrette sono avvenuti su persone giovani: due donne, una 20enne e una 40enne in condizioni disperate che senza un donatore non sarebbero sopravvissute. Grazie al nuovo organo queste due donne hanno guadagnato decine e decine di anni di esistenza grazie a questa procedura.
«Il trapianto è l’arma più efficace che conosce la medicina, ma dipende dalla volontà della comunità di donare e di farsi parte diligente per essere di aiuto al prossimo – spiega – . La carenza di organi aumenta il tempo di attesa esponendo chi è in lista al rischio di non sopravvivere oppure di uscire dai criteri di trapiantabilità» come ad esempio nel caso di una patologia neoplastica in stato ormai avanzato.
Il 90% dei pazienti trattati nella Clinica di Torrette sono neoplastici, spiega il professor Vivarelli, sottolineando che «il collo di bottiglia che si è creato negli ospedali sta provocando anche un rallentamento dell’attività diagnostica» con inevitabili conseguenze sulla salute delle persone.
Il reparto, che ha partecipato ad uno studio multicentrico internazionale i cui risultati sono stati pubblicati pochi mesi fa sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet, è tra i primissimi centri di eccellenza in Italia per le malattie del fegato, delle vie biliari e del pancreas e si avvale della chirurgia mininvasiva con «risultati molti importanti in termini di precisione chirurgica e tempistica di recupero post operatorio. Siamo orgogliosi – conclude – dei progressi che siamo riusciti a compiere».