ANCONA – «La crisi ha aumentato le disuguaglianza sociali, ma non è detto che all’orizzonte ci sia il rischio di disordini sociali. Quello che stiamo rischiando è un arretramento nei diritti acquisiti». Ne è convinto il professor Carlo Carboni, docente di Sociologia dei processi economici e del lavoro presso la Facoltà Politecnica delle Marche.
Secondo il sociologo mentre a livello globale la ricchezza è aumentata e «i paesi poveri sono un po’ meno poveri», in Italia la tendenza è inversa e questo ha causato un incremento delle disuguaglianze sociali. A creare il complesso quadro di crisi che sta attanagliando il Belpaese sono stati «quattro eventi globali inattesi, ancora irrisolti» che sono accaduti dal 2008 ad oggi: la crisi economico-finanziaria del 2008-2009 «ancora sul ‘tavolo’», la crisi ambientale, il Covid che «sembra non volerci mollare» e la guerra «che si pensava potesse avere un orizzonte temporale più limitato e invece sta continuando».
«La situazione geopolitica globale pesa tantissimo – spiega il professor Carboni – e le Marche sono ancora più penalizzate rispetto alle altre regioni italiane, perché a questi quattro eventi inattesi se n’è aggiunto un quinto: il terremoto, con la ricostruzione ancora da realizzare». Il docente evidenzia che in base agli ultimi dati Istat, molti ceti in Italia stanno attraversando un momento di difficoltà economica e la povertà si è accentuata: «Più di un terzo della popolazione è in condizioni di difficoltà e un altro quarto della popolazione ha grossi problemi ad arrivare alla fine del mese con il proprio reddito, e la povertà non tocca più solo i disoccupati, ma è una povertà che interessa i giovani, i neet e gli working poor (quelli che svolgono i cosiddetti lavori a basso reddito)» e a pagare il prezzo più salato della crisi sono le famiglie numerose e monoreddito.
«Nel nostro Paese ci sono lavoratori con poche garanzie, contratti a tempo determinato e salari bassi, una ‘prateria’ in netto aumento – spiega – questo disagio sociale potrebbe condurre ad una involuzione e ad un arretramento dei diritti finora acquisiti». Cruciale in tal senso l’intervento della politica, quando ha «la capacità di alleviare la crisi».
«In questo momento – prosegue – c’è una crisi molto acuta e con una inflazione tra l’8 e il 9% anche un reddito di 25mila euro l’anno, che è la media italiana, sta perdendo 3mila euro all’anno, non sono ‘briciole’».
A peggiorare un quadro già complesso è intervenuta anche la guerra, con le sanzioni economiche erogate verso la Russia «che stanno penalizzando molto il nostro Paese e soprattutto le Marche, molto esposte con l’export verso questo mercato. Stiamo rischiando veramente molto – spiega – occorre lavorare per la pace, perché l’economia per svilupparsi ha bisogno della pace e non della guerra. La guerra non ‘conviene’ all’Europa, fa comodo solamente alla Russia che è una potenza militare. Dobbiamo cercare il modo di porre fine al conflitto e almeno ad una di queste grandi crisi inattese, sperando di riuscire a lasciarci alle spalle la pandemia».
Secondo il sociologo finora nel Paese «si è intervenuto per contrastare i rincari con provvedimenti non risolutivi, come il bonus 200 euro, provvedimenti che attenuano solo un po’ i problema, mentre la ‘febbre’ resta ed è molto alta. Il ‘malato’ non ha bisogno di ‘pannicelli caldi’, bensì di interventi più decisivi. Noi italiani, e noi marchigiani in particolare, abbiamo perso la serenità, siamo molto preoccupati e la nostra regione è in grande sofferenza. Occorre iniziare a risolvere un problema alla volta, iniziando – conclude – da ciò che si può fare nell’immediatezza»