ANCONA – «La didattica e, più in generale, la relazione “a distanza” sono oggi la migliore approssimazione possibile all’interazione scolastica e sociale, a fronte di scenari in cui le uniche alternative sarebbero lontananza e isolamento. Ma restano sempre un’approssimazione». Lo psichiatra Umberto Volpe interviene sulla didattica a distanza, una modalità che sta contrassegnando dall’inizio della pandemia, tra stop and go, la vita scolastica di una generazione di studenti.
Nonostante le accese proteste portate avanti dai comitati che raggruppano genitori, studenti e docenti, nati sull’onda del lockdown, predomina ancora una logica improntata alle chiusure e la scuola è una delle prime a chiudere, lasciando bambini e ragazzi confinati dietro ad un pc. «Quali saranno le reali conseguenze di quanto sta accadendo è difficile dirlo – afferma il professor Volpe, primario della Clinica di Psichiatria degli Ospedali Riuniti di Torrette di Ancona – mentre la pandemia è ancora ampiamente in fieri e probabilmente lo scopriremo compiutamente solo all’esito della stessa».
Secondo lo psichiatra però non è difficile immaginare che il clima di stasi emotiva e relazionale che sta contrassegnando gli ultimi mesi potrà avere «effetti tutt’altro che positivi sulle persone più giovani, alterando il fisiologico decorso delle loro “crisi evolutive” e minando il senso di unità interiore dei nostri ragazzi. È probabile che ciò, a sua volta, comporti una riduzione della fiducia in se stessi e un peggioramento della loro qualità di vita, se non lo sviluppo di veri e propri sintomi e comportamenti disfunzionali».
Il primario cita un recente studio condotto su oltre 700 famiglie in Emilia-Romagna, nel quale è stato riscontrato che isolamento e convivenza forzata in famiglia erano associati ad una maggiore incidenza di «sintomi affettivi in ben un adolescente su tre».
Il fatto che i ragazzi di oggi attingano alle risorse digitali, anche più degli adulti, per colmare il vuoto relazionale «è una necessità non priva di rischi – sottolinea -. Per gli adolescenti è infatti fondamentale essere connessi con propri pari, allo scopo di sentirsi parte del “gruppo” ed esserne accettati. Ma proprio tale pressante istanza di connessione sociale potrebbe esporre adolescenti e giovani a un maggior rischio di usare in modo non equilibrato i social media, con il rischio latente di trovarsi più spesso di fronte a vere e proprie forme di dipendenza digitale».
Tra i fenomeni emersi con maggior forza negli ultimi mesi c’è il cosiddetto “vamping”, ovvero il restare connessi per chattare o giocare in compagnia fino all’alba: «L’esposizione ai blue screens nelle ore notturne determina spesso negli adolescenti disturbi del ciclo sonno-veglia e calo del rendimento scolastico. Il fenomeno si sta diffondendo molto anche nel nostro Paese, perché non è semplice per i genitori monitorarlo in modo adeguato».
Da una inchiesta condotta nei mesi scorsi su 1.860 adolescenti siciliani è emerso che, al di là del tempo di connessione legato alla Dad (didattica a distanza), circa il 70% dei ragazzi trascorre almeno altre quattro ore al giorno su computer o smartphone per motivi ricreativi. «Purtroppo, gli effetti di tali comportamenti sono tutt’altro che ricreativi: un recente studio canadese ha evidenziato come, proprio durante il lockdown, si sia svelata una correlazione positiva tra il tempo che adolescenti che trascorrono sui social media e un maggior rischio di esperire sentimenti di solitudine e depressione».
Una indagine di Ipsos condotta su 1.000 studenti fra i 14 e i 18 anni ha invece evidenziato che il 38% dei ragazzi vive la Dad come una esperienza “negativa”, mentre per il 35% di essi la preparazione scolastica è “peggiore” rispetto agli anni precedenti, in quanto risulta più difficile “concentrarsi” e “rispettare il programma scolastico”, rispetto alla didattica in presenza. Un disagio accentuato dal taglio imposto alla socializzazione con i compagni al “vivere esperienze sentimentali”.
Aspetti che condizionano la vita degli adolescenti tanto che gli stessi ragazzi intervistati hanno definito il proprio umore “peggiorato” nel 57% dei casi.
«I fondamenti della pedagogia scolastica, (“educare la mente senza educare il cuore significa non educare affatto”, Aristotele) oggi sembrano notevolmente a rischio – spiega lo psichiatra -; la scuola ha sempre avuto una funzione formativa e sociale ben più ampia dello studio della matematica o della storia. A scuola si impara a stare con gli altri, si introiettano le regole del vivere civile, si sperimenta la relazione con l’altro. Elementi cruciali per la costruzione dell’identità personale, in una fase della vita altamente evolutiva in termini sia neurobiologici che psicologici».
Attenzione però a non demonizzare le nuove tecnologie che, come osserva il primario, «non sono né buone né cattive, dipende sostanzialmente dall’uso che se ne fa. La telemedicina, ad esempio, si è molto sviluppata negli ultimi anni, anche prima della pandemia, con ottimi risultati in termini di efficienza e di costi. E ciò ha consentito, proprio durante la pandemia, di portare avanti attività di consulenza medica senza far correre agli utenti il rischio di recarsi in ospedale».
Anche la psichiatria, con la pandemia si è adeguata, offrendo colloqui e visite virtuali, molto vicine alla visita in presenza. «L’implementazione di un servizio di telepsichiatria presso la Clinica Psichiatrica di Torrette ha consentito di mantenere un contatto con utenti che altrimenti sarebbero rimasti abbandonati a se stessi, con un inevitabile peggioramento dei loro disturbi mentali. Ed è probabile che questa soluzione, che facilita notevolmente le modalità di contatto e accesso alle cure, resti anche dopo la pandemia» afferma lo psichiatra, sottolineando che da ricerche recenti condotte negli USA emerge che nell’anno 2020 oltre il 60% delle persone che aveva bisogno di cure per un disturbo mentale non ha ricevuto l’assistenza di cui necessitava.
La psichiatria digitale e la salute telementale rappresentano oggi una nuova frontiera che garantisce «soluzioni concrete e a basso costo per dare una risposta a tali esigenze. Infine, se è vero che la tecnologia digitale crea nuove forme di dipendenza e nuovi disturbi mentali ad essa correlati a cui sono esposti soprattutto giovani ed adolescenti, è altrettanto vero che la psichiatria digitale offre soluzioni innovative ed efficaci proprio per i problemi della cosiddetta Generazione Z. Questa fascia della popolazione, infatti, è proprio quella a maggior agio con le nuove tecnologie e forse quindi più in grado di beneficiare di tali forme innovative di assistenza».
Anche se la relazione interpersonale resta sostituibile, molto si può fare anche attraverso lo schermo di un computer o di un tablet, «l’importante, come ci ricorda lo scrittore statunitense Henry David Thoreau, è che l’uomo non diventi “strumento dei propri strumenti”».