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Entroterra e calo demografico, il prof Carboni dell’Univpm: «Per riportare giovani, le soluzioni: casa, lavoro e formazione»

L'ultimo report dell'Istat certifica che dal 2014 al 2024 in Italia si è persa una fetta di popolazione pari al 5% in queste zone

Il Parco dei Sibillini

ANCONA – I piccoli comuni dell’entroterra si spopolano e i centri si svuotano più velocemente del passato. Che il declino demografico colpisca maggiormente le aree interne rispetto alla costa e alle città non è certo un mistero, ma l’ultimo report dell’Istat certifica che dal 2014 al 2024 in Italia si è persa una fetta di popolazione pari al 5% in queste zone, un calo più pesante rispetto all’1,4% registrato nei centro urbani.

Un fenomeno che nasce da lontano e che si è accentuato negli ultimi anni: tra il 2002 e il 2014, la crescita nelle aree Interne era divenuta modesta (+2,9%), mentre i centri urbani erano cresciuti del +6,8%. Poi l’inversione di tendenza con un calo accentuato nelle aree più periferiche dove la flessione è del -7,7%, mentre nei comuni periferici è del -6,3%. Una vera e propria fuga, accentuata dal calo delle nascite e attestata dall’innalzamento dell’indice di vecchiaia nell’entroterra (indice che misura la popolazione over 65 anni in rapporto ai bambini sotto i 15 anni d’età).

L’età media nei Comuni interni è passata da 41,4 anni del 2002 ai 47 anni di oggi. Se nel 2002 l’indice di vecchiaia si attestava a 133% per le aree interne e a 131% per i centri urbani, al 1° gennaio 2024 è salito a 214% per le aree interne e a 196% per i centri urbani. Insomma nelle aree interne si concentra soprattutto la popolazione anziana, mentre i giovani sono in forte calo non solo per il calo delle nascite, ma anche per un fenomeno migratorio verso le aree urbane.

Non solo il divario tra aree ultraperiferiche e centri urbani è ancora più pesante: al 1° gennaio 2024 gli over 65 rappresentano il 25,9% della popolazione nei comuni periferici e il 26,8% nei comuni ultraperiferici. La fuga dall’entroterra si traduce anche in fuga di cervelli e in perdita di forza lavoro. Il declini demografico incide sul tessuto economico e sociale dell’entroterra, già in difficoltà preché lasciato per anni.

«I dati confermano una tendenza che nelle aree interne va avanti ormai da alcuni anni specie nelle Marche che dopo aver beneficiato del saldo migratorio hanno iniziato una fase di discesa» spiega il professor Carlo Carboni, docente di Sociologia economica presso la Facoltà di Economia “Giorgio Fuà” dell’Università Politecnica delle Marche. Ad accentuare lo spopolamento «il terremoto del 2016 – spiega -, e un declino secolare: fino al 1.500 gli Appennini sono stati zona di transito e di scambio di merci», poi l’inversione di tendenza con queste aree che gradualmente con il trascorrere del tempo sono diventate depresse.

Secondo il sociologo occorre puntare sul turismo per rilanciare queste aree, in questo caso le parole d’ordine sono accoglienza, adattamento, mobilità, integrazione e pluriattività, spiega. Poi c’è il tema produttivo: «Non sempre i comuni dell’entroterra sono zone periferiche», spiega, citando ad esempio cittadine pedemontane come Fabriano e Tolentino, centri industriali.

«Bisogna ridare sale a queste cittadine – prosegue Carboni – restituire attrattività dopo la battuta d’arresto rappresentata dal terremoto. Il sisma è andato ad aggravare una situazione di secolare declino, ma che negli ultimi anni vedeva una ripresa di attrattività di queste aree soprattutto dal punto di vista turistico. Queste zone esprimono un modello economico e sociale molto diverso da quello di chi vive in zone più centrali: il turista che arriva a visitare questi luoghi prende conoscenza di stili di vita ecologici, contrapposti ai modelli delle culture urbane». Ecologia e ambiente sono i principali attrattori, insieme alla riscopera di mestieri, stili di vita e culturali.

Per quanto riguarda la ‘fuga’ dei giovani, un fenomeno che prosegue da anni «il problema è rappresentato dal lavoro e dalla casa», due note dolenti dal momento che l’occupazione è poca e gli affitti sono alle stelle e quindi poco accessibili ai giovani. «La soluzione per riportare i giovani nelle aree dell’entroterra» passa per il lavoro, la casa e la formazione, insieme alla nuova agricoltura e ai servizi.

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