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Femminicidi, l’avvocato dei Matteuzzi: «Serve un’educazione emotiva nelle scuole». La criminologa: «Ecco gli atteggiamenti da temere»

Quali sono i segnali di allarme che dovrebbero spingere una donna a scappare da un partner o da un ex? Ne abbiamo parlato con l'avvocato della famiglia di Alessandra Matteuzzi e con la criminologa Alessandra Carlini

Pixabay, Marius

ANCONA – «Ogni femminicidio è un delitto a sé, ma sicuramente la famiglia di Giulia Cecchettin dovrà sopportare quello che hanno sopportato la sorella, i nipoti e la mamma di Alessandra Matteuzzi». A parlare è l’avvocato Chiara Rinaldi, difensore di parte civile dei familiari di Alessandra Matteuzzi, uccisa nell’agosto del 2022 a Bologna dall’ex fidanzato Giovanni Padovani (di origini marchigiane). Due storie diverse, quelle di Giulia e Alessandra, distanti nel tempo e nello spazio, accomunate dal tragico epilogo.

Vite spezzate prematuramente quelle delle donne vittime di femminicidio, che raccontano storie di gelosia, intrusione e controllo, spesso striscianti e nascoste a volte poco plateali e per questo difficili da riconoscere. «Difficile fare un vademecum sui comportamenti che dovrebbero mettere in allarme le donne – dice l’avvocato della famiglia di Allessandra Matteuzzi – ma se ci si trova di fronte ad atteggiamenti e comportamenti di controllo e assedio sentimentale, a maltrattamenti fisici e psicologici, allora bisognerebbe scappare a gambe levate».

L’avvocata Rinaldi si dice «convinta della necessità di un’educazione emotiva di base» che coinvolga i bambini «fin dalle elementari, nelle scuole, sia maschi che femmine». Perché la violenza non ha solo il volto maschile, spesso è anche femminile, come raccontano le cronache legate ai fatti di bullismo, che vedono a volte per protagoniste proprio le giovanissime.

«Non è detto che in una relazione dove la violenza non è mai stata agita la donna sia più al sicuro» mette in guardia la criminologa Margherita Carlini «atteggiamenti di possesso e controllo rappresentano rischio elevatissimo: sono spesso agiti in maniera subdola e per questo difficili da riconoscere» agli occhi della donna, che in alcuni casi potrebbe rischiare addirittura di scambiarli per segnali di attenzione più che di pericolo.

«Un uomo potrebbe dire alla donna ‘preferisco che non indossi la gonna’ e se la donna la indossa e si autodetermina finisce per sentirsi in colpa» spiega, «nelle situazioni in cui la violenza e il maltrattamento non sono palesati, ma c’è un dubbio, le donne dovrebbero chiedere consiglio a un centro antiviolenza o al 1522 (il Numero antiviolenza e stalking, ndr)». In linea generale i campanelli d’allarme dovrebbero scattare nella donna quando il proprio partner o ex partner mostra «comportamenti di controllo, possesso, assedio, pretende di vedere il telefono, o pretende di avere accesso ai profili social della donna, quando controlla con chi esce e quando esce, cosa indossa e quando cerca di limitarne la libertà personale».

La criminologa fa notare che «quando si arriva alla violenza agita siamo già oltre è ormai tardi» e in ogni caso «l’ultima parola ce l’ha l’uomo: la decisione di agire la violenza è una scelta dell’uomo, la responsabilità cade solo su chi agisce la violenza, non sulla vittima. Bisogna iniziare a veicolare messaggi chiari agli uomini: se una donna mette fine alla relazione e chiede di non avere più contatti dovete rispettarla – spiega – e se la fine della relazione vi fa male dovete rivolgervi a un professionista che possa aiutarvi».

Anche la criminologa Carrilini è convinta dell’importanza dell’educazione «al rispetto e all’affettività da mettere in atto nelle scuole già a partire dalle scuole dell’infanzia, prevedendo programmi standardizzati su tutto il territorio nazionale. Educazione prevista anche dalla Convenzione di Istanbul che l’Italia ha sottoscritto nel 2011, ma che non è mai stata messa in atto se non dai centri antiviolenza. Lo Stato deve farsene carico – prosegue – non possono esistere leggi a fondo zero». Secondo la dottoressa Carlini «i femminicidi sono una rivendicazione di potere in una cultura patriarcale, dove permane una disparità di potere tra l’uomo e la donna».