Super stimolati e super connessi, attenti all’ambiente, sono i ragazzi della Generazione Z, ovvero quella dei nati tra il 1997 e il 2012. Una generazione alle prese con i tanti stimoli offerti dalle tecnologie e dal mondo digitale, ma anche con le sensazioni e le emozioni tipiche della loro età, calate in una società profondamente diversa ed accelerata rispetto a quella dei loro genitori e dei loro nonni.
«Stiamo osservando tra i giovani la perdita dei riferimenti genitoriali e istituzionali, ed una pressione delle nuove ideologie con un ritorno particolare a contenuti di matrice esoterica e fumettistica, con nuove culture orientali che stanno emergendo e di cui non si conosce l’impatto da un punto di vista emotivo, etico e relazionale, ma si colgono le influenze e le fascinazioni» spiega la dottoressa Francesca Mancia, psicoterapeuta dell’età evolutiva. Contenuti a cui i ragazzi accedono dagli smartphone, dai tablet, che però «se non sono modulati dalla competenza e dalla cultura dei genitori possono dare origine ad una fruizione in cui non c’è spazio per l’approfondimento e che può causare «difficoltà di dialogo con questi ragazzi».
«Rileviamo – prosegue – nuove sofferenze nelle identificazioni di genere, una richiesta di rispecchiamento e di approfondimento dello stare con un adulto a vedere gli aspetti della natura, a confrontarsi con le complessità, le disabilità, le disorganizzazioni, senza fuggire nel pensiero magico, come proposto dalla tecnologia o dalle serie tv, accettando di andare a vedere questa nuova fragilità». Quello attuale, secondo la psicoterapeuta «è un tempo nuovo, caleidoscopico, che ruota velocemente, e noi rischiamo di osservare dall’esterno questo fenomeno se non cominciamo ad avere delle risorse che possono consentirci di entrare in contatto con questa nuova categoria di vissuto e di esperienze di vita, non necessariamente psicopatologici ma sicuramente molto superficiali».
L’altro problema evidenziato dalla psicoterapeuta è quello degli adolescenti che presentano una crescita narcisistica «con delle fibrillazioni emotive molto veloci rispetto alla possibilità di pensare e che non permettono di utilizzare le strategie che fino ad oggi la nostra cultura ha costruito». Una sfida non solo per i genitori, ma anche per gli psicoterapeuti che devono trovare nuovi modelli di aiuto per questi adolescenti iper stimolati.
Un tempo spiega «esisteva il dolore profondo, oggi invece esiste un dolore di pelle, reattivo, che non riconosce le istanze etiche, anzi le sovverte e vira verso un atteggiamento di ricerca di potenza e prepotenza magica». In una società multiculturale, come quella attuale, «l’immigrazione ripropone modelli culturali che nella nostra società erano stati superati ma che riproposti con potenza diventano un riferimento per i nostri ragazzi, per cui abbiamo di nuovo le bande secondo il modello afroamericano, l’assetto relazionale maschio-femmina quasi per caste, e i nostri ragazzi fluttuano all’interno di questi nuovi riferimenti senza mai posarsi, semplicemente ‘surfando’ su queste opzioni, con delle micro identificazioni superficiali in cui è molto complesso andare a lavorare perché serve un lavoro profondo».
Per la psicoterapeuta occorre «ripartire dall’arte, dai laboratori, dalla cultura, dall’integrazione lavoro-scuola-creatività e diminuire il numero di stimolazioni che stiamo dando ai ragazzi. Bisogna creare un nuovo sistema di cura, trasformativo». La sfida, spiega. è quella della prevenzione, da collocarsi nelle scuole e nei centri culturali, mentre dal punto di vista scolastico, il modello proposto dalla dottoressa Mancia guarda alle informazioni «poche, approfondite e ben collegate. Bisogna uscire dalla logica di eccesso dello stimolo, anche culturale, in modo che si ritorni a lasciare uno spazio di noia dove i ragazzi possano ricostruire il proprio se e accettare di soffrire dell’inconsistenza delle proprie scelte».