ANCONA – «Chi si meraviglia del fatto che il Movimento 5 Stelle non voterà il decreto Aiuti non vive nel mondo reale». Lo sostiene il senatore del Movimento 5 Stelle Mauro Coltorti. Nella giornata in cui il governo pone la fiducia al Senato sul dl Aiuti e l’esecutivo è ad un passo dalla crisi, il senatore marchigiano spiega le motivazioni che hanno spinto i 5 Stelle allo strappo.
«Entrati nel governo Draghi – dice – abbiamo chiesto provvedimenti che non sono mai stati accolti malgrado il progressivo peggioramento delle condizioni di imprese e famiglie dal +6,6 di Pil del 2021 all’inflazione superiore all’8% con una perdita paurosa di potere d’acquisto e competitività. Da sempre chiediamo un massiccio investimento sulle energie rinnovabili che se fosse stato attuato avrebbe diminuito la necessità di subire i ricatti di altri stati».
Lo jesino Coltorti, presidente della Commissione Lavori Pubblici del Senato, ricorda che i pentastellati avevano chiesto al governo Draghi «una svolta decisiva per le politiche attive del lavoro: oggi ci sono oltre 4,5 milioni di lavoratori con stipendi da fame. Abbiamo chiesto, senza successo, il rinnovo del Superbonus che è stato responsabile dell’exploit del PIL del 2021 e della ripresa della catena dell’edilizia e contemporaneamente dell’adeguamento anche sismico del nostro patrimonio edilizio».
E ancora, tra le richieste non soddisfatte dal premier aggiunge anche lo sblocco delle «cessioni dei crediti che stanno mettendo in crisi oltre 35.000 imprese. Malgrado l’esigua quantità di gas nei depositi del nostro Paese sono state riattivate trivellazioni anche in aree dove l’estrazione avrà conseguenze disastrose creando subsidenza in aree di elevatissima attrattività turistica come il litorale veneziano. Nel decreto il M5s non avrebbe voluto fosse inserita la concessione di poteri straordinari al sindaco di Roma che così avrà la possibilità di realizzare un termovalorizzatore, che, in barba alla transizione ecologica sempre più urgente per combattere il cambiamento climatico, condurrà ad un aumento di emissioni di inquinanti in una delle aree più densamente abitate del Paese».
Tra i temi sul tavolo della crisi c’è una delle misure fortemente volute dal movimento, ovvero il reddito di cittadinanza, e a tal proposito il senatore marchigiano fa notare che «un articolo del decreto attacca» proprio questo sostegno che il pentastellato definisce «una misura di civiltà che sostiene oltre 3 milioni di persone. Per fronteggiare la crisi economica abbiamo chiesto la possibilità di rateizzazione del pagamento dei debiti di persone e imprese. Ma più in generale chiediamo che il parlamento torni a svolgere il proprio ruolo di indirizzo delle scelte mentre con il governo Draghi è stato relegato a mero spettatore di scelte fatte in Consiglio dei Ministri».
Insomma i 5 Stelle erano già ai ferri corti. «La situazione del Paese è gravissima – osserva – e destinata a peggiorare, in special modo per le fasce meno abbienti, come conseguenza delle scelte fatte proprio dal Governo. Non è più possibile rimanere inascoltati e vedere asfaltati provvedimenti importanti come quello sul salario minimo, fermo in commissione da oltre un anno. Il governo ha chiesto la “fiducia” sul decreto mentre avevamo chiesto che ci fosse data la possibilità di esplicitare la contrarietà sui singoli punti. Insomma abbiamo chiesto al governo un cambio di passo. Oggi il Movimento non può votare un provvedimento che contiene articoli contrari al benessere del paese. Credo sia evidente – conclude – come dall’inizio della legislatura ci siano stati sforzi congiunti per “far fuori” in ogni modo il Movimento 5 Stelle, unico baluardo che ha sempre lavorato per il paese e non per il palazzo».
E a chi vi accusa di essere irresponsabili ad aprire una crisi di governo in questa fase che risponde? «Sono accuse strumentali. È più irresponsabile chi continua a sostenere, chi non promulga emendamenti in grado di creare e sostenere imprese e famiglie; chi continua ad inviare armi anche se sono solo servite a creare più morti e distruzione; chi attende che le imprese non vengano ristorate e falliscano; chi vede deteriorare il potere d’acquisto di chi lavora e si ripulisce la coscienza dando 200 euro una tantum».