ANCONA – Se ne parla poco, perché fa paura e c’è ancora un forte tabù che aleggia intorno a questa malattia, ma intanto continua a colpire, complice proprio la disinformazione. Stiamo parlando del virus dell’Hiv che in Italia in un solo anno, nel 2018, ha fatto registrare 2.847 nuove diagnosi. La Giornata mondiale contro l’Aids che ricorre proprio oggi, 1 dicembre, è stata istituita proprio per tenere i riflettori accesi su questa malattia e sulle modalità di contagio.
L’incidenza osservata nel nostro Paese è lievemente inferiore alla media europea e dal 2012 si registra una diminuzione dei casi. Il maggior numero di casi è dovuto a trasmissione sessuale, nel 41% dei casi eterosessuale e nel 39% dei casi omosessuale. La trasmissione legata all’uso di sostanze stupefacenti si assesta invece al 4%.
Le persone che hanno scoperto di essere Hiv positive nel 2018 erano maschi nell’85,6% dei casi con una età media di 39 anni, mentre l’età media per le donne è di 38 anni.
A rendere il quadro preoccupante, oltre ai dati relativi alle nuove diagnosi sia di Hiv, c’è anche l’età: nell’anno appena trascorso infatti l’incidenza più elevata si è riscontra nella fascia di età 25-29 anni. Inoltre la maggioranza delle nuove diagnosi è attribuibile a rapporti sessuali non protetti, che rappresentano l’80,2%.
I casi di Aids segnalati nel 2018 sono stati 661, con una incidenza di nuove diagnosi pari all’1,1 per 100.000 residenti. Da evidenziare che oltre il 70% delle diagnosi di Aids sono di persone che non sapevano di essere sieropositive.
Andando ad analizzare i dati più nel dettaglio nel 2018 le regioni che hanno avuto una incidenza maggiore sono state Lazio, Toscana e Liguria. Nelle Marche nel 2018 sono state 60 le nuove diagnosi, in calo rispetto al 2017 quando erano state 91 e rispetto al 2016 quando erano 115.
Ma sul fronte Hiv ci sono anche buone notizie, come spiega la dottoressa Marina Toschi, ginecologa dell’Aied di Ascoli Piceno: «Le persone che hanno contratto il virus dopo un anno di terapia antiretrovirale non sono più infette. Questo evidenzia l’importanza della diagnosi precoce – spiega -. L’infezione Hiv si può curare, non è più senza via di uscita come in passato. Il test è gratuito e anonimo in tutte le regioni, ma c’è anche il test salivare che dovrebbe essere distribuito in tutti i consultori».
Può anche capitare che durante un rapporto protetto si rompa il profilattico, anche in questi casi la diagnosi precoce è sempre amica, perché prima parte la terapia e maggiore sarà il successo.
Purtroppo però in molte regioni italiane le persone «arrivano tardi alla diagnosi quando hanno già i linfonodi ingrossati al collo. È importante parlarne con i ragazzi – spiega la dottoressa Toschi -: il momento della vaccinazione contro l’Hpv può costituire l’occasione giusta per farlo, ma un lavoro va fatto anche nelle scuole e prima ancora in famiglia. Se i genitori hanno dei dubbi possono rivolgersi per un consiglio o per chiarimenti al medico, al ginecologo, al consultorio, ma è importante parlare ai ragazzi ed eliminare i tabù, perché questo significa anche difenderli dalla pedopornografia».
L’importante, spiega la ginecologa è trovare le parole giuste per ogni età, per rispondere alle domande dei bambini, poichè «il sesso fa parte della vita».
Fondamentale anche il ruolo della scuola nel creare coscienza del problema tra i ragazzi. Sono ancora troppi quelli che hanno rapporti sessuali non protetti e c’è ancora un alto livello di prostituzione in Italia.
La dottoressa Toschi evidenzia che in Italia è cresciuto l’uso del profilattico, mentre quello femminile è ancora poco conosciuto e quindi poco utilizzato, ma dovrebbe invece essere maggiormente usato anche per essere protette nel caso in cui il partner sfili il preservativo senza dirlo alla donna. In questo caso, l’unica difesa per la donna è il profilattico femminile, che evita il contatto con lo sperma.
Non tutti sanno infatti che «è più facile che sia l’uomo a contagiare la donna, più difficile che lei trasmetta l’Hiv a lui», precisa la ginecologa. «Le ragazze devono sapere che la pillola non le protegge dal virus – osserva -, ma la contraccezione femminile è in via di sviluppo e allo studio negli Stati Uniti ci sono anelli vaginali che rilasciano oltre allo spermicida anche sostanze antivirali».